Film

Avatar in Arcadia a Melzo

Ecco come appariva la sala Energia del cinema Arcadia di Melzo durante la proiezione di Avatar di ieri sera:

Ebbene sì, abbiamo fatto il bis. E affermare che vedere Avatar a Melzo è davvero un'esperienza incredibile, sembra quasi banale. 
Ma la considerazione che volevo fare a proposito di questo film riguarda proprio la linea sottile che separa la banalità dall'universalità. Infatti la seconda visione, ad un mese di distanza dalla prima è riuscita ad emozionarmi allo stesso modo.
E forse la differenza tra una storia banale e una universale sta proprio qui.

La storia di due civiltà che si scontrano, l'importanza della natura e dei suoi legami sotterranei che ne fanno un grande organismo vivente, un messaggio di vita che trionfa dopo essersi opposto a quello di morte di una morale legata al denaro non sembrano essere temi particolarmente originali.

Non lo è neanche la storia di un amore sfortunato tra due persone divise dalle circostanze della vita o dalle famiglie e infine dalla morte.

Eppure Il modo, l'arte, il linguaggio con cui sono espresse ha fatto sì che storie del genere fossero dei capolavori. 
La nostra emozione in fondo ne è l'unica misura.

 


Tetro - Francis Ford Coppola

Storia del conflitto tra Benjamin e Angelo (Tetro) figli del grande direttore d'orchestra Carlo Tetrocini, conflitto che ha origine nei complessi rapporti familiari tra un padre/padrone che si sente onnipotente e che tarpa, tra l'altro, le ali al figlio, soffocando ogni sua velleità artistica.

Le vicende familiari appaiono sottoforma di ricordi a colori in un film girato in un intensissimo bianco e nero che interiorizza gli avvenimenti proiettandoli in un presente senza tempo.
Assisitiamo così alla storia di una famiglia in cui la personalità opprimente di Carlo si abbatte non solo sul figlio Angelo, (al quale il padre riesce persino a rubare la ragazza) ma anche sul fratello (musicista anch'egli, ma desinato a restare dietro alle quinte del successo del fratello).
La personalità di Angelo è segnata in seguito anche dalla morte della madre, durante un incidente mentre era egli stesso alla guida.

Lo troviamo quindi -in un presente di luce ed ombra- in Argentina, dove si è ricreato una vita assieme alla psicologa che lo ha curato. Ha messo nel ripostiglio il suo lato artistico, ha chiuso in una valigia l'opera che stava scrivendo e che è in realtà la storia della sua famiglia, criptata, quasi volesse proteggersene, prenderne le distanze, rendendola incomprensibile.
Bennie la ritrova e decide di riscriverla, senza sapere che in questo modo finirà col riscrivere anche la sua, di storia.

Una sorta di melodramma il cui scioglimento è liberatorio. Ma anche una storia che ha molto di auotbiografico: «I fatti narrati nel film non sono reali, dice Coppola, ma tutti veri». Infatti il padre di Francis era un famoso compositore, nonchè direttore d'orchestra. Un suo pezzo, Naomi, è nella colonna sonora del film.

Un film intenso, recitato magistralmente e della cui fotografia emozionante non posso non riportare qualche "grammo":



This is it

Un'emozione grande...

 

Viverla con l'audio eccezionale e sul grande schermo della sala Energia a Melzo, non ha potuto che amplificare i sentimenti profondi che queste immagini e questa musica fanno nascere.
Vi lascio alla recensione della visione e alle considerazioni fatte da Marco qui:

 

 


Un'ora sola ti vorrei - Alina Marazzi

Nell'ambito del Super8 film Festival, che ha luogo questo week end a Milano, zona Lambrate, e per il quale rimando al pregevole contributo del marco, abbiamo assistito oggi alla proiezione di Un'ora sola ti vorrei (2002).

 

Siamo capitati in questa sala di proiezione senza sapere bene a cosa avremmo assistito, e forse questo ha reso ancora più intenso il nostro incontro con la protagonista di questo film-documentario: Liseli Marazzi Hoepli.
La regista Alina Marazzi ricostruisce la storia della madre, figlia dell'editore Ulrico Hoepli, nata nel 1938 e morta suicida a soli 33 anni dopo un periodo di male di vivere che l'ha tenuta lontana dalla sua famiglia e dai bimbi ancora in tenera età.
Attraverso un contributo incredibilmente ricco di fotografie e filmini amatoriali in 16 mm girati dal padre di Liseli -che evidentemente intendeva in questo modo immortalare la felicità della sua bella e ricca famiglia borghese- e soprattutto attraverso le lettere e le pagine di diario della madre, Alina si fa lei stessa voce narrante di una storia che diventa dramma pur conservando i toni delicati di una poesia. Una ferita che cerca in qualche modo di cicatrizzarsi attraverso il lavoro di ricucitura dei vari frammenti di un'anima, che si sentiva inadeguata al suo ruolo di moglie, madre e soprattutto di figlia.

Un'ora sola ti vorrei è la canzone che ritorna nella colonna sonora del film, cantata prima nella versione originale del 1938, poi in quelle degli anni 60, a volte solo accennata.
Ma un'ora è anche la durata del film, che diventa quindi l'anelito di una figlia e la sua dichiarazione di amore verso la madre così presto perduta.

Si tratta di un vero gioiello, un'opera di cui consiglio davvero la visione.
Qui di seguito in 6 tranches, l'intero film:

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The boat that rocked (I love radio rock)

Della storia di Radio Caroline aveva ampiamente parlato marco, giustamente affascinato dall'apprendere che il nostro Grant Benson aveva partecipato alle epiche imprese di quegli anni.
Lo sceneggiatore e regista Richard Curtis prende ispirazione proprio da Radio Caroline e dai suoi dj per tratteggiare i profili dei protagonisti di I Love Radio Rock, il suo personale omaggio alla musica pop e rock.
Nel 1966 la BBC trasmetteva solo 2 ore di rock and roll alla settimana. Ma una radio privata trasmetteva musica rock e pop, da una nave al largo della Gran Bretagna, 24 ore al giorno. E 25 milioni di persone – più di metà della popolazione britannica – ascoltava questi pirati ogni giorno.

La musica è il motore dell'azione di I Love Radio Rock, che ripercorre un'epoca di forte contrasto politico-sociale, esaminando da una parte il rigore dei colletti bianchi e dall'altra la voglia di libertà dei giovani. Negli anni in cui la radio rappresentava un momento di raccoglimento collettivo, l'americano Conte (Philip Seymour Hoffman) e il suo rivale Gavin (Rhys Ifans) - "pirati" che vivevano letteralmente per la musica - facevano sognare gli ascoltatori con le loro storie personali e tanto rock'n'roll.
Puntuale è la colonna sonora che funge da duplice protagonista, descrivendo a tratti il periodo in cui è ambientato il film e muovendo a tratti i fili della trama, sostituendo la narrazione con brani mirati.
Girato quasi esclusivamente con camera a spalla il film rende perfettamente l'atmosfera che doveva regnare a bordo della nave, un microcosmo gogliardico e trasgressivo, in cui le storie dei protagonisti, pur non essendo trattate in profondità, formano un gradevole mosaico multicolore. Epica la scena del naufragio finale, con tanto di salvataggio da parte degli ascoltatori e di dischi in vinile a fluttuare silenziosi tra le onde del mare.
Ma la musica continua.
E' anche grazie a questa epopea che

"Cinque anni dopo, nel 1972, iniziavano a trasmettere le prime radio libere terrestri in UK"


Ben-Hur (1959)

Ben-Hur, a Tale of the Christ inizia con l'arrivo del Magi alla grotta di Betlemme e termina con la crocifissione di Cristo. Nello spazio di tempo della vita di Cristo (che compare altre tre volte nel film senza mai essere inquadrato in viso e che interviene salvando la vita dello stesso Giuda Ben Hur e delle di lui madre e sorella) si intrecciano le esistenze di due amici di infanzia: il giudeo Giuda Ben Hur e il romano Messala. L'antica fraterna amicizia tra i due crolla per colpa dell'ambizione senza scrupoli del romano che riesce a vendicarsi condannando il giudeo alla schiavitù sulle galee. La sua prigionia termina dopo una battaglia navale in cui riesce a salvare il console romano Quinto Arrio che per riconoscenza lo porta a Roma e lo adotta come figlio. Assillato dal pensiero della sorte della madre e della sorella decide di tornare in patria, dove ritrova� la donna che ama, Ester.
A Gerusalemme avrà luogo la celeberrima "corsa con le bighe" (in realtà quadrighe), vinta da Giuda, che riesce ad avere la meglio sul crudele e infido Messala. Prima di morire questi gli rivela che la madre e la sorella sono ancora vive ma relegate nella valle dei lebbrosi.
Il film termina con la guarigione di queste ultime ad opera del Messia, incontrato durante la salita al Golgota.

Prossima al fallimento la MGM puntò tutto su Ben Hur , rifacimento di un film degli anni 20, adattamento di un romanzo pubblicato nel 1880 da un eroe della guerra civile, il generale Lew Wallace. Scommessa vinta: il lungometraggio di quasi 4 ore ottenne un successo mondiale facendo resuscitare la MGM. �
Prodotto da Sam Zimbalist Ben Hur possiede tutte le caratteristiche canoniche dei film di questo genere: manicheismo del soggetto, approcio sontuoso, eroi inverosimilmente virtuosi, conversioni, forze soprannaturali e migliaia di comparse.
Willyam Wyler decise di affidare il ruolo di protagonista a Charlton Heston; la sceneggiatura, scritta da Karl Tumberg, fu inizialmente così orribile e deprimente da costringere Wyler a chiedere l'intervento di tre penne illustri, Chritopher Fry, Maxwell Anderson e, soprattutto, Gore Vidal, i quali, cestinando l'originale, riscrissero daccapo l'intera sceneggiatura. Le riprese del film durarono circa un anno, non senza travagli e momenti di panico totale, in particolare per la scena della corsa delle bighe. In questa situazione di caos indescrivibile trovò la morte il produttore Sam Zimbalist, stroncato da infarto probabilmente causato dallo stress emotivo portato dai continui accadimenti.


ll film è strutturato su cinque sequenze memorabili: i forzati ai remi, la battaglia navale e, naturalmente, la famosissima corsa delle bighe; più avanti la scena del lebbrosario e quella della Via Crucis.
La corsa delle bighe è la sequenza più famosa della storia del cinema; 32 minuti senza interruzione, che per una scena d'azione costituisce un record. Occorsero tre mesi per completarla.
Per la prima volta in un film s'incominciano a vedere effetti truculenti come sangue, braccia e gambe mozzate. La sequenza della caduta dalla biga di Charlton Heston, o meglio del suo stuntman è reale, frutto di un incidente che nel suo sviluppo dava un'impressione visiva notevole, tale che infine fu deciso di inserirla nel film.
La battaglia navale fu girata in interni nelle due piscine di Cinecittà, con appropriato uso di modellini in scala.

II linguaggio visivo e verbale del film è quello del kolossal, che più che un genere è un insieme di mezzi espressivi tutti orientati verso l'iperbole, sia essa visiva, linguistica o concettuale; naturale quindi che i dialoghi ci appaiano oggi retorici. A questo proposito va rilevato che lo sceneggiatore Gore Vidal, gay dichiarato, ha avuto modo di inserire una parentesi trasgressiva tratteggiando il rapporto di amicizia virile di Messala con Ben Hur quasi come una relazione omosessuale più o meno esplicita. Gli interpreti (ci sono anche in piccoli ruoli Marina Berti, Giuliano Gemma e Lando Buzzanca) sono tutti perfetti, la protagonista femminile, l’attrice israeliana Haya Harareet, sconosciuta ai più prima di questa interpretazione, si contrappone a Heston con eleganza .
La colonna sonora di Miklòs Ròzsa, asse trainante del film, consta di tre ore di musica, settantaquattro temi, quattro marce, innumerevoli fanfare, oltre due anni di tempo occorsi per completarla. Nel film, soltanto ventisette minuti, su oltre tre ore e mezzo, sono privi di musica e si riferiscono alla famosa sequenza della corsa delle bighe, sviluppata senza alcun commento musicale proprio per dare maggior valenza alle immagini trascinate soltanto dagli effetti sonori.


La retrospettiva Bigger than Life, dedicata ai film in 70 mm in Arcadia a Melzo, si conclude domani sera con Playtime di Tati.... ma noi gettiamo la spugna: i chilometri macinati nel giro di una settimana a questo punto sono davvero tanti!
Grazie alla famiglia Fumagalli e al suo amore per il Cinema per averci dato la possibilità di assistere a questi capolavori nella loro Cattedrale!

 

 

 

 

 


Lawrence of Arabia (1962)

« Non tutti gli uomini sognano allo stesso modo ... Io intendevo creare una Nazione nuova, ristabilire un'influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale ... »

Queste parole sono le utlime che T.E. Lawrence scrisse nel libro che narra la sua vita "I sette pilastri della saggezza", prima di schiantarsi nell'incidente motociclistico che mise tragicamente fine alla sua turbolenta esistenza.
E con questo incidente inizia il film, che di fatto è un lungo flashback che ricostruisce la sua vita, vissuta pericolosamente, come un lungo preambolo a questo incidente: forse volutamente, come sembra adombrare la scena del film, forse per sfida continua a se stesso e alla vita: come gli dice ad un certo punto lo sceriffo Alì, Lawrence ha effettivamente fatto un uso poco attento delle sue nove vite.

Il film inizia con la sua assegnazione in qualità di tenente dell'esercito britannico ad una delicata missione di ricognizione in zone di interesse strategico sul fronte di guerra mediorentale nel 1916.
Quello con il deserto è davvero un colpo di fulmine: lo spirito originale, narcisistico e appassionato del giovane ufficiale inglese entra in una tale sintonia con la cultura dei suoi abitanti da portarlo a diventare il catalizzatore delle loro aspirazioni di libertà.
Dopo aver guidato attraverso il deserto del Nefud un esercito di beduini alla conquista di Aqaba ed essere arrivato a Damasco prima ancora dell'armata britannica, riesce a far sì che Feisal venga nominato re dell'Iraq, anche se il suo sogno di una unità e di un autogoverno arabo è subito liquidato, non solamente per l’immaturità e la polverizzazione politica delle masse arabe, ma soprattutto Perché Inghilterra e Francia si sono già messe tranquillamente d’accordo di spartirsi il dominio turco nel Medio Oriente.

Il ritratto di Al Orens (come lo chiamano presto i beduini), così magisatralmente ridisegnato da Peter O'Toole, ricalca alla perfezione quella che è stata la figura del personaggio storico: archeologo, agente segreto, letterato, uomo dalla profonda cultura e sensibilità, probabilmente l'ultimo grande eroe dell'epoca post romantica, dal carattere complesso e incredibilmente volitivo, impulsivo e insofferente all'obbedienza; è capace di imprese impossibili perché "nothing is written" se non nella volontà dell'uomo. Ed è un profondo umanesimo quello che vorrebbe animasse sempre le sue azioni, anche se alla fine l'assurdità della vita avrà la meglio, mostrandosi in tutta la sua crudeltà e portandolo ad essere assurdamente disumano. Disumano come quel deserto che ha tanto amato e che è stato capace di portarsi via i suoi amici e i suoi sogni.

 

E il deserto nel film di David Lean è più che un magnifico scenario, è un soggetto vivo: il vento, i suoni e i colori emergono superbamente, accompagnati dalla splendida musica di Jarre, a protagonisti incontrastati dell'opera di Lean.

ll film si conclude con la partenza di Lawrence da Damasco. Una macchina militare scoperta lo accompagna al porto per l’imbarco. Mentre viaggiano sull’interminabile pista di sabbia superano prima una carovana beduina, che il protagonista segue con sguardo innamorato e già nostalgico, e sono in seguito a loro volta superati dalla motocicletta di un portaordini che si allontana a velocità vertiginosa.
Un istante magico in cui si condensa la nostalgia del passato e la premonozione del futuro.

Vincitore di 7 premi Oscar, da anni è in pianta stabile nelle top ten delle pellicole più belle di sempre, e non a torto. Uno spettacolo di tale portata è difatti riscontrabile in pochissime altre opere. Artefici ne sono l’ispirata regia di Lean, supportata da una splendida fotografia, la solida sceneggiatura di Robert Bolt, fatta di concisi dialoghi che inquadrano ottimamente sia le significative vicende storiche che quelle private; l’indimenticabile colonna sonora di Maurice Jarre, legata indissolubilmente alla sabbia del deserto, le interpretazioni del ricco e talentuoso cast. A dispetto di star dell’epoca come Alec Guinness e Anthony Quinn, a lasciare di più il segno sono gli attori allora meno noti, Peter O’Toole e Omar Sharif, che da quest’opera hanno poi ricevuto fama internazionale.

Un altro splendido dono offertoci da "Bigger than Life", la rassegna dedicata ai film in 70 mm che si conclude martedì 12 maggio in Arcadia a Melzo.

 


West Side Story (1961)

Proiettato ieri sera nella splendida Sala Energia in Arcadia a Melzo, nell'ambito della rassegna Bigger than life, retrospettiva dedicata ai film in 70 mm.

L'opera nasce dall'idea della modernizzazione della storia d'amore di Romeo e Giulietta ad opera del coreografo Jerome Robbins e del musicista Leonard Bernstein, che assieme al paroliere Stephen Sondheim danno vita al musical che nel 1956 arriva a Broadway.
Nel 1955 Manhattan vede crescere in maniera notevole la popolazione portoricana ed è naturale che le due bande vengano idenitficate in una di ceppo portoricano e una di ceppo irlandese-italiano-polacco. Tra di loro è guerra aperta e la storia d'amore di Maria (Natalie Wood) e Tony (Richard Beymer) è destinata a sfociare in tragedia.
Il successo fu enorme e Hollywood non poteva che interessarsene al volo.

West Side Story è probabilmente la prima commedia musicale ad essere trasposta sul grande schermo nella sua integralità. Ad eccezione della prima sequenza, tutto il resto del film è girato in studio. Furono create 50 scenografie, sviluppate in altezza per facilitare gli spostamenti della camera 70 mm. Il loro aspetto iperrealista non impedisce però la teatralità: la città diventa un elemento essenziale dell'azione. Ed è questa fusione con lo scenario urbano probabilmente alla base del grande successo: è la prima commedia musicale a trattare temi come la violenza di strada e il razzismo, entrando in pieno nella realtà sociale.
Si può parlare di alchimia per spiegare lo straordinario risultato finale: alchimia tra le coreografie aeree di Robbins e le inquadrature di Robert Wise, che sviluppa il suo film in modo del tutto cinematografico, dimostrando così l'autonomia della sua opera. Il suo talento di montatore è evidente nella sequenza "Tonight", montaggio parallelo di 5 azioni, in cui le melodie e le scene vengono intrecciate senza mai creare cacofonia.

La colonna sonora di West Side Story rappresenta il culmine della produzione musicale di Leonard Bernstein; nessun' altra commedia musicale può vantare di riunire altrettante canzoni indimenticabili, dalla bellezza semplice di "Maria", alla tensione fisica di "Cool" fino allo splendido "Somwhere" a cappella.

 

 

 

 


Duplicity

Un thriller basato su una vicenda di spionaggio industriale, costruito attraverso salti di tempo e di luoghi e su un avvincente gioco delle parti; il suo interesse maggiore consiste in realtà nella storia d'amore trai due protagonisti: Clive Owen e Julia Roberts si incontrano e si scontrano, si fidano e si sfidano per scoprire alla fine che l'unica certezza che hanno in un mondo di inganni e finzione è proprio il loro reciproco amore.



Io conosco quello che sei e ti amo lo stesso