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Jazzin'Nice - 70 anni di amore per il Jazz a Nizza

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Fino al 15 ottobre è ancora visitabile al Musée Masséna di Nizza l'esposizione dedicata ai 70 anni del Nice Jazz Festival, la rassegna di musica Jazz che forse non tutti sanno essere stata la prima d'Europa.

Il legame della musica Jazz con questa città affonda le sue radici proprio ai primordi del genere e della sua diffusione oltre i confini degli Stati Uniti.
Nel 1918 la città di Nizza fu scelta come centro di convalescenza e riposo per i militari americani sbarcati in Francia. È con loro che arriva all'inizio in città questa musica completamente nuova. Negli anni successivi la musica afroamericana si diffonde a Parigi sotto forma di musica da ballo dai ritmi rivoluzionari ma è sul Mediterraneo che con lo sviluppo del turismo trova i fattori più favorevoli al suo successo diffondendosi nei luoghi di divertimento e di spettacolo. Gli stessi artisti statunitensi scegliendo la Riviera come meta turistica contribuiscono a creare un fermento speciale attorno a questo genere e favoriscono la crescita di nuovi talenti. Il Negresco, il Ruhl, il Savoy, il Palais de la Méditerranée, assieme ai casinò, ai dancing e ai cinema diventano i luoghi di diffusione del Jazz.
La prestazione di un giovane Louis Armstrong nel 1935 al Casino Municipal rivela l’elaborazione di uno stile che lascia ormai sempre più spazio all’improvvisazione e al solista.
Sin dagli esordi la musica Jazz ha affascinato i giovani nizzardi, dando nascita anche ad alcune vocazioni, come nel caso del sassofonista Barney Wilen e il trombettista Aimé Barelli, che oltre ad avere delle eccellenti carriere internazionali hanno contribuito anche a diffondere, alla fine degli anni ’70, la musica Jazz nella regione.

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Josephine Baker davanti al casino della Jetée (1934)


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V-Discs abbreviazione per Victory Discs: dischi registrati a partire dal 1943 destinati ai soldati americani al fronte. Erano dei 78 giri di 30 cm dal repertorio molto vario, canzoni, jazz, musica classica. Furono pubblicati fino al 1948, in totale 905 dischi inviati in 4 milioni di esemplari sui vari fronti. In teoria non avrebbero dovuto essere commercializzati e avrebbero dovuto essere tutti distrutti.


La data cardine della storia del Jazz a Nizza è il 1948: al 22 al 28 febbraio vi ha luogo infatti il primo Festival del Jazz al mondo. Quello stesso anno i francesi scoprono la musica bop. Questo periodo, assai fecondo per la musica jazz vede confrontarsi due tendenze stilistiche, una specie di querelle tra i sostenitori di un Jazz classico e i partigiani di un Jazz evolutivo.

È in questo clima che ha luogo a Nizza, come evento di chiusura del Carnevale il primo Festival internazionale di Jazz.

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L’assenza di rappresentanti della nuova corrente bop rivela la scelta di privilegiare il “vecchio stile” e illustra come questa frattura andrà sempre più amplificandosi.

Il Festival, legato in seguito alla location collinare delle Arènes de Cimiez, ha visto in realtà la luce nei locali eleganti dell’Opéra de Nice, sotto la volta vetrata del Casino Municipal di Pace Masséna e il pubblico vi associava la danza.
La Nuit de Nice, la serata conclusiva di questo primo festival:

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La presenza di Louis Armstrong con le sue All Stars suscita l’entusiasmo del pubblico e la serata finale al Negresco in presenza di Stephane Grappelli e di Django Reinhardt, del balletto dell’Opéra de Nice e anche di un giovane Yves Montand termina all’alba. La leggenda vuole che Louis Armstrong rientrasse negli USA con lo spartito di una canzone che lo aveva affascinato: “C’est si bon!”, scritta dal nizzardo Henri Betti e interpretata quella sera da Suzy Delair. Armstrong la registrò nel 1950 facendone un successo planetario.


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Dopo un periodo di interruzione di 23 anni l'esperienza viene rinnovata nel 1971 al Théâtre de Verdure prima di prendere il suo slancio definitivo nel 1974.

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La programmazione testimonia da subito la qualità delle scelte musicali: dopo che Ella Fitzgerald ha reso omaggio a Louis Armstrong nel 1971, l’edizione successiva vede la presenza di maestri del bop Dizzy Gillespie e Max Roach, Charlie Mingus e il giovane Herbie Hancock.
Il 1974 è anche l'anno della nascita della Jazz Parade, una formidabile festa del Jazz: più di 30 orchestre, 250 musicisti si alternano su 3 scene per 21 ore di musica al giorno per più di una settimana.

Parate e animazioni nelle vie della città con jam sessions e omaggi ai grandi del jazz.

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L’anfiteatro di Cimiez ospita inizialmente il jazz della tradizione, ma le edizioni successive vedranno diversificare la programmazione e si vede apparire il blues, il rhythm and blues, il neo bop, il jazz fusion , il latin jazz. L’eclettismo degli organizzatori favorisce la presenza di musicisti appartenenti a generazioni diverse.
Nel 1994 la rassegna prende definitivamente il nome di Nice Jazz Festival. Conservando la formula dei concerti simultanei su tre palchi il festival  si apre in seguito a correnti musicali diverse.

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Untitled, Arman, 1983.

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Nel 2011 la città di Nizza con l’intenzione di dare al Festival una fama internazionale, attraverso una programmazione di gran qualità e un nuovo luogo adatto allo spettacolo sposterà le esibizioni sulle scene del Théâtre de Verdure e del Jardin Albert 1er.


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L'esposizione ricchissima di foto, documenti, strumenti musicali e racconti di luoghi ed eventi è accompagnata da una colonna sonora che ripercorre a partire dagli esordi fino ai giorni nostri il legame tra i grandi maestri del Jazz con la città di Nizza:


Josephine Baker - Lonesome love sick blues 1927
Sam Wooding & his orchestra - Breakaway 1929
Louis Armstrong - St. Louis blues 1934
Django Reihardt & Quintette du Hot Club de France ft Freddy Taylor - Georgia on my mind  1936
Quartette de Thomas et des Merry boys - Celesta ft  Marcel Bianchi 1946
Aimé Barelli et son orchestre - Riviera 1941
Blossom Dearie - The Riviera 1957
Armand Molinetti & son rocking Quintette - Bambino 1956
Coleman Hawkings/Manny Albam & his orchestra - La mer (beyond the sea) 1956
Jerry Mengo et sa grande formation - Dans le bleu du ciel bleu 1958
Sidney Bechet - J’ai deux amours 1957
Louis Armstrong with SY Oliver’s orchestra - C’est si bon 1950
Miles Davis - Ascenseur pour l’échafaud 1957
Barney Wilen Un témoin dans la ville 1959
Michel Legrand - La Baie des Anges 1962
Stéphane Grappelli & Bucky Pizzarelli - I’ll remember april 1979
Mary Lou Williams - A Grand nite for swinging 1978
Chet Baker - Dear Old Stockholm 1975
Miles Davis - Portia 1986
Sylvain Luc Trio Sud - Mojo 1999
Louis Winsberg Douce France Trio - Le Sud 2006
Richard Galliano - Nice Blues 2016
Vincent Peirani Trio - Waltz for JP 2012
André Ceccarelli - Armstrong 2013
Rodolphe Raffalli - Méditerranée 2009
Paris Jazz Big Band - Carnaval 2012
Nice Jazz Orchestra - Grande Parade boogaloo 2011




Timeline - Michel Blazy alla Galerie des Ponchettes a Nizza

L'installazione di Michel Blazy alla Galerie des Ponchettes si inserisce nell quadro della stagione inaugurata con "Cosmogonies, au gré des éléments" al Mamac in cui si approfondisce la relazione tra arte contemporanea ed elementi naturali.
L'artista lavora infatti sulle materie organiche viventi e ogni sua installazione è in realtà un'opera in fieri, un organismo essa stessa, un essere che muta, cresce e si degrada.
Le sue installazioni sottolineano il carattere effimero delle cose, l'evoluzione dei processi, la trasformazione insita in ogni elemento, soprattutto quelli viventi.

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Le pareti della Galleria sono ricoperte da grandi affreschi che altro non sono che materiale organico lasciato alla sua decomposizione naturale, al suo fiorire di muffe e spore che è in continua evoluzione, un'evoluzione che è per sua natura lasciata al caso e all'imprevedibile. 

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Timeline: la dimensione temporale è essenziale. Il tempo diventa uno degli elementi creatori dell'opera d'arte, assieme ai micro-organismi che la trasformano e assieme alla concertazione dell
'artista, che diventa il demiurgo che tutto mette in opera perché avvenga e poi ammira, assieme allo spettatore, quello che il tempo riesce a creare.

In Mur de pellicules bleues (2014/2018) , l’artista ricopre i muri e la volta della galleria di agar-agar e colorante blu E133.

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In Mur de double concentré de tomate (2009/2018 doppio concentrato 28% di pomodoro senza sale) riveste i dodici archi della galleria di passata di pomodoro in strati successivi, lasciando poi ciò che è vivo alla sua evoluzione.

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L'unione di elementi organici e inorganici è alla base del suo lavoro. La vita vegeta qui a partire dall'elemento sintetico: un hard disc, un tubo, un mattone, una lattina e un cappotto, sono tutti oggetti privati del loro scopo originario per trasformarsi in humus virtuale, elemento fertile da cui alla fine la vita riesce a germogliare.
Al centro è un ammasso di carbone, del legno bruciato sul quale simbolicamente la vegetazione rinasce dalle sue stesse ceneri.

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Feu
, 2018. legno bruciato, acqua, vegetazione spontanea. 

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Brique
, 2016/2018  (Mattone, terra, vegetazione spontanea) 

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Manteau
, 2013/2018 (cappotto, acqua, vegetazione spontanea)

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Érable et tuyau, 2017/2018 (acero, tubo, lattina, terra)

 

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Disque dur, 
2014/2018  (Hard disc, terra, vegetazione spontanea)

 

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Sans Titre
(2014)  (scultura in gesso e carta di alluminio da cucina)

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Pellicules bleues de voûtes se détachant
, 2018

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I materiali di partenza sono invasi da una vegetazione spontanea debordante che porta ad una trasformazione della materia stessa. È in questo contesto di conversione d'uso della materia che l'opera acquista il suo senso più alto, nel momento in cui il cambiamento è in atto.
L'emancipazione artistica avviene quando l'opera sfugge non solo al controllo dell'artista, ma anche ad ogni regola prevedibile.


La compagnie Humaine danza al Mamac

In occasione dell'evento Le Mamac fête l'été che ha visto lo scorso week end una serie di iniziative avere luogo al Museo d'arte moderna e contemporanea di Nizza, tra le vari esibizioni e visite guidate ci siamo trovati ad assistere ad uno spettacolo di danza contemporanea della Compagnie humaine.
Erano tre le esibizioni, noi abbiamo avuto il piacere di assistere a Femmes, un'interpretazione delle opere di Niki de Saint Phalle da parte della ballerina Emma Lewis, con l'accompagnamento musicale di Delphine Barbut. 

Qui di seguito qualche immagine e soprattutto un video che immortala la potenza evocativa di questa danza coinvolgente e ipnotica al tempo stesso.

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Mamac - Cosmogonies

L'esposizione temporanea che in questo momento è allestita al Mamac di Nizza e che vi resterà fino al 16 settembre riunisce, sotto il titolo di Cosmogonies, au gré des éléments i lavori di una cinquantina di artisti accomunati dalla ricerca sulle possibilità creative degli elementi naturali.
A partire dagli anni '60 il loro potere evocativo ha infatti ispirato molte opere e suggerito interessanti letture del rapporto tra l'uomo e la natura. Che si trattasse di cercare di padroneggiarle o di lasciare che queste forze agissero liberamente, la carica espressiva di aria, acqua, terra e fuoco ha fatto sì che si intrecciasse un connubio assai prolifico tra arte e regno naturale. 

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Il tentativo di intrappolare, di catalogare, di riprodurre gli effetti transitori di queste energie non controllabili ha generato opere la cui poesia è a tratti disarmante.
Molte mi hanno colpito in modo particolare. Tra di esse quelle in cui l'effimero tenta di prendere una forma definitiva, l'informe cerca di fissarsi e il linguaggio -verbale e non- crea universi dall'architettura liricamente impalpabile. 

Soffio di foglie (Giuseppe Penone 1979): l'artista imprime la traccia del suo corpo in un cumulo di foglie morte, come per ridare vita alla natura ormai inanimata.

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Waterfall (Ruri 2004): delle correnti acquatiche sono stampate su del vetro acrilico che imita la superficie riflettente dell'acqua, mentre il suono di una cascata udibile attraverso una cuffia tenta di unire i pezzi di questa visione frammentata.

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Cloud piece, earth piece, snow piece (Yoko Ono 1963): pubblicate in Grapefruit, una raccolta poetica di istruzioni individuali, diventano qui installazione, invito all'azione, in un tentativo di avvicinare l'arte alla vita.

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Slate Throws (Andy Goldsworthy, 1966): si tratta di sculture effimere, realizzate con elementi naturali trovati in loco. Fluide, cangianti, svaniscono nel momento stesso in cui sono create, come le Scritture sull'acqua di Maurizio Nannucci (1973).

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La création de nuages (Barbara e Micheal Leisgen 1974): come degli esseri viventi le nuvole nascono e muoiono. 

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Adn (Charlotte Charbonnel 2006): l'artista si interessa de
ll'apparizione e scomparsa dei fenomeni naturali: nuvole, turbini, fumo, attrazione elettromagnetica, cristallizzazioni saline. Qui delle nuvole lattee sono ricreate in una soluzione di acqua e alcool. La loro durata limitata richiede cure costanti, una riattivazione continua di queste forme fino alla loro inevitabile dissoluzione.

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La mémoire du vent (Bernard Moninot 2002): attraverso un apparecchio collegato a uno stelo vegetale l'artista cattura le oscillazioni del vento. In un tempo molto breve, in genere 30 secondi, un disegno si forma in negativo sul fondo affumicato di una scatola. Sono i venti di varie parti del mondo ad essere qui raccolti in una visione poetica e intimista.

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Underground 04 Lens (Edith Dekyndt 2017): l'artista ha sotterrato per parecchi mesi l'opera in tessuto. Deseppellita essa rivela nella sua parziale decomposizione le modificazioni della materia che diviene vivente.

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The mineral bod (Ilana Halperin 2016). Sculture di legno ricoperte di calcare: forme create dall'artista vengono lasciate ricoprire da incrostazioni minerali createsi con l'acqua estremamente calcarea della Laguna blu islandese, in cui il calore del magma vulcanico accelera il processo di sedimentazione realizzando in un anno il processo che avverrebbe in un secolo.

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Salpêtre 1 (Capucine Vanderbrouck 2014): i cristalli di sale sono disposti al centro della sala creando un paesaggio fantastico. L'introduzione del sodio percarbonato nel deposito iniziale tinge di blu queste forme dando le sembianze di un paesaggio innevato a questa installazione transitoria e in continua trasformazione.

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La terra è esplorata anche nella sua capacità di germinare, di produrre vita, l'atto di creazione si inscrive allora in un ciclo naturale che fa dell'artista una sorta di alchimista.

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Si tratta di un'esposizione davvero ricca, una sola visita in effetti forse non basta. In ogni caso c'è tempo fino al 16 settembre per goderne ancora. 

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Galleria {MDC} Massimo De Carlo

Dureranno fino al prossimo 13 luglio le esposizioni in corso nella storica sede della Galleria Massimo de Carlo di via Ventura a Lambrate. Sono tra l'atro tra le ultime ad avere luogo nell'ex fabbrica della Faema che dal 1987  ha visto passare artisti del calibro di Alighiero Boetti, Rudolf Stingel, Maurizio Cattelan e Yan Pei Ming. Dal prossimo autunno la sede principale della Galleria si trasferirà infatti a Milano in un palazzo degli anni '30.
Le mostre correnti vedono protagonisti due artisti: Betrand Lavier e Karin Gulbran.

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Bertrand Lavier presenta Hier, Oggi, una retrospettiva di opere selezionate che vanno dagli anni '80 ad oggi. Nella prima sala l'accento è posto sull'esplorazione del colore. È soprattutto il rosso che cerca di definire se stesso, da un lato mirando all'astrazione dal suo lato materico, attraverso la sua riproduzione fotografica, dall'altro alla coincidenza assoluta con la materia stessa, nella scultura cubica che altro non è che una massa formata dalla pasta stessa che le dà il colore, probabilmente ancora molle al suo interno.

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Una serie di opere degli anni '80, '90 e 2000 -Formica Red (1983), Timex (1987), Charles Eames Chair (2002) e SMEG (2002)- sfidano il concetto del Ready Made: gli oggetti trasformati attraverso il gesto pittorico ci interpellano sull'ibridazione a vari livelli: quello del mezzo attraverso cui l'artista si esprime e quello dei soggetti, che a volte cercano di innestarsi l'uno nell'altro, in altri casi, pur accostati, restano isolati e fluttuanti.

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Nella seconda sala sono esposti tre dei suoi dipinti a specchio. Tre cornici, rappresentanti in modo emblematico e ironico l'età antica, quella moderna e quella contemporanea, racchiudono degli specchi dipinti con una pittura spessa che lascia solo indovinare la sagoma del riflesso di chi osserva. Il fulcro della ricerca che è alla base di questi lavori è il tempo, stigmatizzato dalle epoche storiche cui fanno riferimento le diverse cornici e nel quale l'artista immerge il fruitore dell'opera rendendolo fluttuante, indefinito e sfuggente come l'istante che non si riesce a cogliere.

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La seconda artista è Karin Gulbran, che qui presenta Weird Sisters, una serie di sculture e oggetti in ceramica che danno vita a un universo popolato da creature fantastiche. L'artista evoca con esse un mondo mitologico che è sintetizzato dal Budding Branch with White Flower, un vaso di piccole dimensioni su ogni lato del quale compare un ramo nelle diverse fasi della fioritura circondato da un paesaggio disabitato. 

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AniManiMism - Michael Fliri

L’esposizione di Michael Fliri alla Galleria Raffaella Cortese di Milano ha come filo conduttore la maschera.
Scultura, installazione, video, performance, fotografia, qualunque sia il mezzo scelto dall'artista, in questi lavori si tratta sempre di penetrare quella terra di nessuno che è l'involucro che ci separa dal resto del mondo.

Where do I end and the world begins  è il titolo della parte di esposizione che riguarda una serie di maschere in polvere di ceramica che sono per l'appunto la materializzazione del nostro confine, di quell’intercapedine sottilissima che ci separa da tutto ciò che è altro da noi. 
Le sculture sono tutte il risultato di un doppio calco (concavo e convesso) di maschere etniche (più una tra quelle in negativo che è il ritratto dell'artista) provenienti dal Mask Museum di Diedorf in Germania.
Il confine tra sé e il mondo si concretizza qui nello spessore di materia che separa la maschera convessa che mostra la parte esterna di noi al mondo e quella concava che aderisce alla nostro io interno, quello che è diverso per definizione, che nessuno vede ma che ci definisce a noi stessi. 

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My Private Fog
 è una serie di fotografie che prosegue questo tema volto-maschera. L'artista dopo aver modellato del materiale plastico trasparente sulla forma di sassi e concrezioni rocciose che ricordano gli scenari ghiacciati delle montagne della regione di cui è originario (l'Alto Adige), ritrae se stesso nell'atto di coprirsi il volto con questa sorta di membrana. La nebbia è quella del suo stesso respiro, che è la materia in questo caso volatile che si frappone tra l'individuo e il mondo.

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Le sculture della serie Gloves richiamano anch'esse la maschera, nelle forme fatte prendere dalle mani per coprire il viso, un po' come nei giochi dei bambini che nella maschera cercano la metamorfosi del sé, il cambiamento, la crescita. 
 
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E la metamorfosi è protagonista anche della video installazione a quattro canali AniManiMism. Il titolo, che dà il nome anche alla mostra, gioca con le parole che fanno riferimento da un lato all'animazione e al mimetismo dall'altro alle mani, all'anima e al sé. Nei quattro video proiettati contemporaneamente, ciascuno con una colonna sonora che si intreccia in modo molto evocativo con le altre, la mano dell'artista fa danzare una maschera in materiale trasparente in modo da creare un gioco d'ombre e di forme di notevole forza evocativa.

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La mostra è visitabile presso la Galleria Raffaella Cortese in via Stradella 1-4 a Milano fino al 28 luglio (martedì – sabato h. 10:00 – 13:00 / 15:00 – 19:30 e su appuntamento).


Gianluigi Colin - Sudari

All'esposizione di Gianluigi Colin presso la Triennale di Milano, terminata il 10 giugno scorso, abbiamo avuto il privilegio di essere stati introdotti dall'artista medesimo, che ci ha presentato personalmente il suo lavoro.

Siamo entrati "vergini" nella sala che ospitava l'esposizione Sudari, volutamente impreparati rispetto a quello che avremmo visto. E l'artista ci ha chiesto dapprima di girare per la stanza, di guardare, toccare, osservare da vicino le grandi tele colorate che vi erano esposte.
Sedici quadri più un dittico di dimensioni inferiori. Si tratta all'apparenza di grandi composizioni di pittura astratta dai colori accesi su sfondo per lo più azzurro.
"Cosa vi sembrano?"
Ricordo di aver risposto "impronte", ma non so se più per la suggestione data dal titolo della mostra o dall'effettivo ripetersi quasi meccanico delle tracce di colore su quelle superfici.
"Perché questi quadri non li ho fatti io".

Queste opere straordinarie rappresentano in effetti la massima espressione dell'arte concettuale in quanto, pur avendo in tutto e per tutto l'aspetto di quadri sono in realtà oggetti che l'artista decontestualizza e rielabora sfruttandone il lato estetico e significante in modo profondo e poetico.

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Colin, giornalista e art director del Corriere della Sera, ha infatti raccolto e selezionato porzioni di rotoli di tessuto assorbente, utilizzate per pulire le rotative dopo che il quotidiano è andato in stampa.
Quello che resta impresso sulla tela è dunque non solo una traccia, ma soprattutto uno scarto. È quello che rimane della notizia, è il rifiuto che si sedimenta sulla tela come nella nostra memoria, dopo che il presente della cronaca svanisce e viene dimenticato.


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In quei segni meccanici, in quel linguaggio cifrato che non importa affatto di decrittare perché si svincola esteticamente dagli eventi che i vari articoli riportavano in origine, c'è la persistenza della nostra memoria, quella a breve termine, quella che si appropria dei fatti per conservarne alla fine, in fondo alla coscienza, solo delle macchie colorate.
Tutto ciò che avviene in un giorno, tutte le passioni, i drammi e le speranze scorre via lasciando, come dice Bruno Corà, curatore della mostra, solo "l'eco visiva del dissolvimento di ogni residuo di comunicazione"


Holes in the Historical Record - William E. Jones

La mostra Holes in the Historical Record di William E. Jones è visitabile fino al 28 luglio al numero 7 di via Stradella a Milano, uno dei punti espositivi della Galleria Raffaella Cortese.

Servendosi di documenti della Library of Congress di Washington relativi ad uno studio fatto per documentare la recessione agricola avvenuta in America tra il 1935 e il 1944, l'artista seleziona volutamente gli scatti scartati e censurati, quelli che per motivi a noi ignoti non rispondevano ai criteri richiesti. Le fotografie ritenute inadeguate venivano denominate "killed" e forate in modo da non poter essere più utilizzate.
Quello che Jones qui realizza è dunque soprattutto un atto di rinascita. Lungi dall'essere state davvero uccise queste fotografie non solo riportano in vita la realtà agricola americana di quegli anni, ma ambiscono a far rinascere ciò che era stato dato per spacciato. E lo fanno attraverso un buco nero dal quale la luce che ha un tempo impressionato la pellicola tenta ora, contro ogni legge della fisica, nuovamente di uscire.

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Jones si serve di queste immagini in modo interlocutorio. Uniformando la posizione e la grandezza del foro egli fa di quest'ultimo una costante che si installa sull'immagine come un punto interrogativo.
R
icostruire a questo punto non è più necessario, la risposta non risiede nell'immagine completa ma proprio in quel buco, nell'assenza che diventa presenza ricorrente.

Nel video che completa l'installazione esso è il punto da cui nascono e muoiono una ad una le immagini reiette: create dal vuoto ne vengono successivamente riassorbite in una sequenza ipnotica che in qualche modo documenta il lato ignoto della storia.

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I dittici e i trittici indagano, nella ricorrenza della parte mancante, temi dai risvolti poeticamente significativi.


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Per saperne di più sull'artista: williamejones.com


Nuit des Musées 2018 - Mamac, Nice

Sabato 19 maggio si è svolta, come da 14 anni a questa parte la Notte europea dei Musei.
Questa iniziativa, che ha come scopo di aprire le porte di sale solitamente adibite all'esposizione anche ad altre tipologie di performance, permette alle arti di incrociarsi tra loro, dando vita a prospettive insolite e ad energie portatrici di nuovi spunti ed intuizioni.
Nove erano i musei di Nizza che prevedevano l'ingresso gratuito e l'apertura serale, oltre ad ospitare eventi come concerti, rappresentazioni, allestimenti speciali, conferenze e performance di danza.
Noi, come l'anno scorso, ci siamo diretti verso il Mamac, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Nizza, anche se le iniziative erano talmente tante e interessanti che la scelta è stata comunque difficile, ma non ci ha certo delusi.

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Le sale della collezione permanente, che di recente hanno subito una riconfigurazione nell'allestimento, ospitavano diversi eventi e performance di musica e danza. Per quel che riguarda quest'ultima, tre sono stati gli spettacoli che la Compagnie Humaine ha proposto in diversi spazi del Museo.

Tre coreografie che hanno preso vita in forma di dialogo con le opere e l'architettura del museo stesso.
La prima nella sala Yves Klein ha visto musica e danza scivolare attorno al blu dell'artista in una ricerca di spiritualità che vede nel distacco dal suolo la sua espressione più pura.

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La seconda performance nella sala Niki de Saint Phalle ha permesso alle celebri Nanas di questa artista di danzare assieme a un'eterea ballerina seguendo le note di una chitarra elettrica.

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Infine l'ultima esibizione prende le mosse dall'architettura stessa del museo: lungo uno dei corridoi vetrati che collegano le sezioni della sua struttura quadrilatera i due ballerini hanno raccontato una storia di sentimenti intensi, evoluzioni, incontri e perdite. 

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Un assaggio delle loro performance qui:



La serata prevedeva anche la partecipazione del progetto musicale « HHH », creato da tre allievi della sezione elettroacustica del Conservatorio di Nizza, la misteriosa parata equestre Starship, realizzata in occasione dell'esposizione Si c’était à refaire de Renaud-Auguste Dormeuil nella galleria contemporanea e l'accensione della poetica scultura di fuoco Mur de feu di Yves Klein sulla terrazza all'ultimo piano, che chiudeva l'evento poco prima di mezzanotte.

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Esposizione Henjam al Castello del Catajo

Il castello del Catajo,  splendido palazzo cinquecentesco dal bellissimo parco e dai saloni affrescati ricchi di storia e leggende, ospiterà dal 29 aprile fino al 12 maggio un'esposizione di opere Henjam, in occasione della rassegna Emergere in Arte che vedrà altre mostre prendervi vita nei prossimi mesi. Siamo a Battaglia Terme sui Colli Euganei in provincia di Padova in una location davvero eccezionale. Si tratta di una delle dimore storiche europee più imponenti e monumentali: villa principesca, reggia e salotto letterario, di qui sono passati nei secoli nobili e artisti di tutta Europa.

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In queste stesse stanze Henjam ha il piacere di presentare la sua produzione artistica più recente, con qualche excursus verso opere passate ma collegate ad esse per stile e poetica e una digressione riguardante le ultime sculture lignee di Alberto Festi. Il nucleo centrale dell'esposizione è costituito dalle opere della serie Limes (2017). Questi grandi dipinti su juta in cui il dialogo fra mondi inconciliabili sembra sempre sul punto di realizzarsi sono in realtà intimamente legati alle opere su juta del 2003. Oltre al supporto e alla tecnica esse partecipano infatti della stessa capacità evocativa nel creare mondi sospesi tra il presente e l'attesa. Anche qui come in Limes il passaggio non si realizza mai, ma l'universo resta più nudo e metafisico, mentre le più recenti immagini di confine ostentano materia e carnalità.

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Oceano (2017) è un'opera a sé. Questo dipinto grandioso prende le sembianze di una scultura tanto è abitato da un movimento ondoso tridimensionale, a sua volta contenuto dall'acciaio immoto della cornice, in una costante tensione che sembra non risolversi mai.

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Se Oceano è il movimento, La Madre rappresenta le radici. Quest'opera monumentale del 1994 segna l'inizio della collaborazione artistica tra Alberto Festi e Matteo Tonelli. La tensione qui corre da un riquadro all'altro, creata da quello stesso attrezzo che serve appunto a tendere i filari delle viti,  ripetuto per 24 volte con tecniche diverse in altrettanti dipinti cuciti su juta.

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E proprio la tensione, assieme alla capacità evocativa, è il secondo polo su cui ruota l'esposizione. Le ultime sculture di Alberto Festi (2018) completano in questo senso il discorso sull'energia potenziale racchiusa nell'opera d'arte. Potenti, immediate e intense raccontano una realtà dall'evidenza che sorprende per la sua purezza e bellezza assoluta.

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La visita al castello e all'esposizione vi emozionerà. La sintonia tra il fascino un po' decadente dei locali che la ospitano e il potere evocativo di queste opere è davvero perfetta.

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Il castello è aperto nei pomeriggi di martedì, giovedì, venerdì e domenica dalle 15 alle 19.