Architecture

La Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano

C'è un gioiello a Milano poco lontano da piazza Duomo.
Avevo una vaga memoria dell'esistenza di questo bizzarro esempio di trompe l'oeil architettonico, ma ci è voluto l'aiuto di un amico che ha guidato i miei passi attraverso i suoi ricordi per riscoprirlo e visitarlo dal vero qualche settimana fa.
 Lui è uno che si entusiasma nel farsi sorprendere almeno quanto ama sorprendere gli altri, per questo credo mi abbia condotto qui.


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La Chiesa di Santa Maria presso San Satiro si trova lungo via Torino in uno slargo che si apre sul lato destro salendo, appena prima di piazza Duomo. L'edificio non si nota quasi passando, con quella facciata grigia un po' anonima stretta tra i palazzi circostanti e una volta entrati ci si stupisce un po' dell'ampiezza dello spazio occupato dalle tre navate e dalla pianta a croce di questa chiesa.


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Ma questa ampiezza si scopre presto essere generata in parte da un inganno. Un perfetto inganno prospettico opera del Bramante.

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Quando la Chiesa fu costruita, alla fine del '400, il progetto iniziale dovette scontrarsi con uno spazio disponibile più ridotto del previsto. Da lì l'idea di creare un abside "fasullo", un coro che simula in uno spazio di soli 97 cm una lunghezza dieci volte superiore.

L'illusione è perfetta, solo avvicinandosi e osservando lateralmente lo spazio dietro all'altare ci si accorge dello stratagemma pittorico: le colonne e le decorazioni a cassettoni imitano la prospettiva che si avrebbe se davvero esistesse quello spazio dietro all'altare.

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È una cosa geniale, oltre che sorprendente per la sua realizzazione. 
È geniale soprattutto perché rappresenta una sfida, è la risposta ad un limite, a quello che in teoria poteva essere un problema insormontabile. E invece.
E invece Bramante ha saputo usare un vincolo, una limitazione per creare bellezza dal nulla, nel senso che nasce proprio dall'assenza di spazio, da quello che non c'è. 

Ci sono tanti altri aspetti notevoli nel capolavoro rinascimentale rappresentato da questo edificio: c'è il sacello di San Satiro -che era il primo nucleo preesistente la costruzione della Chiesa poi dedicata alla Madonna- e la Sagrestia, per esempio, anch'essa opera del Bramante. Ci sono le opere scultoree, gli affreschi, i dipinti ma il vero capolavoro presente in questa superba realizzazione rinascimentale non è quello che c'è, ma quello che non c'è e fa finta di esserci.

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Atlas - Esposizione alla Torre della Fondazione Prada a Milano

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La Torre della Fondazione Prada è stata aperta al pubblico nell'aprile scorso: 60 metri di cemento, la sua architettura è già di per sé una realizzazione straordinaria, dalla varietà spaziale talmente ampia da far porre al visitatore più di una domanda sull'orientamento e la disposizione degl spazi, che sono così articolati da poco corrispondere alle forme di una costruzione che dall'esterno appare di una regolarità e semplicità ineccepibli.

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Sei piani della torre sono dedicati alla mostra "Atlas", che rende fruibili le opere 
della Collezione Prada che comprende artisti come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Mona Hatoum ed Edward Kienholz and Nancy Reddin Kienholz, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessarri e Carsten Holler. Negli altri tre si trovano il ristorante, i servizi e i bar, tutti spazi che a loro volta sono stati allestiti e decorati in modo da amalgamarsi con le sale espositive.

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La prima di queste si trova al secondo piano. Qui si è accolti dai Tulips di Jeff Koons (1995-2004), tulipani giganti in acciaio dipinto. Una struttura incredibilmente leggera, nonostante il volume, forse proprio per  le linee in espansione, per quell'aspetto di oggetti in cui è stata insufflata dell'aria, e anche per quei colori accesi che assimilano l'opera a un enorme gioco per bambini.

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Salendo alla sala 2, si trova l'installazione Bel Air Trilogy (2000-2001) di Walter De Maria: tre Chevrolet Bel Air del 1955 con tre barre d'acciaio a sezione rispettivamente circolare, quadrata e triangolare, che trapassano longitudinalmente le vetture. Penetrate senza essere deformate in alcun modo, le macchine perdono la loro funzione, ma non la loro bellezza, mentre l'osservatore accusa il colpo, come se fosse a sua volta trafitto.

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La sala 3 ospita alcune delle opere che più mi sono piaciute tra tutte quelle esposte. Si tratta dell'installazione Remains of the Days (2016) e di Pin Carpet (1995), entrambi di Mona Hatoum.
Nella prima i resti combusti di una serie di mobili disposti come se fossero nei loro ambienti, sembrano fissarsi in un istante eterno di consunzione. Una fine rete metallica ricorda quella che doveva esserne la forma, mentre dei frammenti carbonizzati sfuggono dalle maglie.

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La seconda imita in tutto e per tutto le sembianze di un morbido tappeto, ma quelli che sembrano a prima vista soffici crini si rivelano essere in realtà spilli in acciaio. Il mimetismo della materia è qui perfettamente realizzato, come anche il fulcro semantico che parla di piacere, dolore e della loro dissimulazione.

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L'ampia sala 4 ospita opere di Pino Pascali: Pelo (1968) e Meridiana (1968). L'utilizzo di un materiale insolito come il peluche conferisce alle opere un 
aspetto ironico che contrasta con le geometrie di quelle appese alle pareti e posate al suolo.

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La successiva sala espositiva è due piani più sopra. Qui toviamo opere di William N. Coopley e l'installazioneWaiting for Inspiration di Damien Hirst: dei grandi cubi trasparenti ricreano ambienti in cui muoiono continuamente delle mosche. L'ossessione per la morte di questo artista arriva qui alla rappresentazione della sua perpetua attualizzazione.

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La sala 6 ci introduce innanzitutto in un corridoio buio, in cui è possibile camminare solo seguendo (fidandosene) un corrimano che procede con un percorso tortuoso. E' il Gantembein Corridor (2000) di Carsten Holler, che ci introduce alla Upside Down Mushroom Room (2000), sempre di Carsten Holler. Una foresta di Amanite Muscarie a testa in giù ci immerge in un'atmosfera fiabesca e allucinatoria, da cui si fa fatica a voler uscire.

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Un'esposizione da vedere e rivedere, per me senz'altro, visto che non avevo a disposizione tutto il tempo necessario per approfondire gli altri spazi della Fondazione Prada e le esposizioni temporanee. Anche il Ristorante e le toilettes sono notevoli e il bar sulla terrazza non era accessibile.

Questa della Torre è in ogni caso un'esperienza da farsi, per i lavori esposti ma anche per il connubio perfetto tra architettura e arti visive, per come gli spazi riescono a crearsi in sé e per sé e attorno alle opere e per come le opere vivono nei volumi che si elevano verso l'alto e respirano davanti alle grandi vetrate che danno su Milano. 



 


Dicembre a Milano

Anche se tra le più corte dell'anno una giornata di dicembre a Milano può bastare per scoprire e riscoprire le sue architetture più moderne al tramonto e all'imbrunire.
Il quartiere CityLife sta prendendo forma e la Torre Hadid svetta accanto a Isozaki, insomma alla di lui costruzione, in attesa che anche Libeskind arrivi a completare il terzetto.

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La riqualificazione della zona di Fiera Milano si aggiunge a quella dell'Isola e di Porta Garibaldi, che è sempre in fieri. Ogni volta che ci si passa c'è qualcosa di nuovo e presto anche il parco sarà completato.

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Mi piace questa Milano moderna e in continuo cambiamento, ma per respirare un po' l'atmosfera natalizia bisogna andare nelle strade del centro e sui navigli, dove anche il passato rivive un po' nelle luci e nelle forme della tradizione.

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Milano è sempre bella, anche vista di sfuggita, anche se non ci si sofferma troppo a fissarla negli occhi.


Il MuSe di Trento

Il Museo delle Scienze di Trento, inaugurato il 27 luglio del 2013, prosegue l'attività di quello che era il Museo Tridentino di Scienze Naturali. Di questa prima sede resta al nuovo allestimento la grande collezione di animali impagliati e riproduzioni a grandezza naturale (o aumentata) installate in forma di piramide nel grande varco (Big Void) che occupa i quattro piani del palazzo, una piramide che percorre da un lato la progressione evolutiva, partendo dal seminterrato con gli scheletri dei dinosauri, dall'altro quello degli ambienti naturali che li ospitano, progredendo dallo scheletro di una balenottera per arrivare ai piani superiori sulle ali degli uccelli che abitano i cieli.

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Il MuSe si trova immediatamente a sud dello storico palazzo delle Albere, in un palazzo all'interno del quartiere residenziale Le Albere, entrambi progettati da Renzo Piano nell'ambito di un più ampio disegno di riqualificazione urbana dell'area industriale dismessa dove sorgevano gli stabilimenti Michelin di Trento.

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Il percorso espositivo del MuSe si sviluppa usando la metafora della montagna, stilizzata dallo stesso profilo dell'architettura del palazzo che ricorda l'andamento frastagliato delle montagne trentine e in particolare delle Dolomiti. La vetta, l'ultimo piano è infatti dedicato ai ghiacciai. 

In questa sezione i visitatori possono comprendere come si formano i ghiacciai e fenomeni naturali quali l'erosione delle rocce. È inoltre presente la perfetta riproduzione (in ghiaccio) di un tipico ghiacciaio del Trentino.

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Mano a mano che si scende si incontra la natura alpina, la geologia, l'evoluzione dell'uomo sulla terra e infine lo spazio per i bambini dedicato ai sensi,

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In questa sezione del museo è possibile ripercorrere tutto il viaggio della vita sul nostro pianeta grazie a grafici, fossili e ricostruzioni di alcune delle più antiche forme di vita del nostro pianeta.


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Infine si arriva alla storia della vita del piano interrato e della serra tropicale.

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La serra ricostruisce l'ambiente dei Monti Udzungwa, in Tanzania, dove il MuSe ha un Centro di monitoraggio ecologico che rappresenta una delle sue sedi territoriali. Nella serra è inoltre presente una coppia di turaco verde, unica fauna della serra.

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L'esposizione temporanea attuale e che resterà al MuSe fino al 7 gennaio 2018 
è dedicata a "Archimede, l'invenzione che diverte". La mostra  presenta al pubblico la figura di Archimede quale massimo protagonista della cultura universale. 
Tra ricostruzioni di macchinari e video multimediali, il percorso racconta le sue intuizioni nel campo della tecnologia meccanica e offre testimonianze della civiltà tecnico-scientifica del III secolo a.C., periodo durante il quale visse lo scienziato. Dopo un excursus storico e un focus sulle principali invenzioni e ricerche, l'esposizione approfondisce anche la seconda rinascita di Archimede, che avviene a partire dal XIII secolo con la progressiva riscoperta dei suoi scritti, e l'influenza esercitata su studiosi e geni rinascimentali del calibro di Leonardo da Vinci e Galileo Galilei. 

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Il MuSe svolge un'importante attività di ricerca, organizzata in sette sezioni:
Botanica, per la quale può giovarsi delle seguenti infrastrutture: la banca del germoplasma del Trentino, l'erbario tridentino, un laboratorio di germinazione, una serra di propagazione e quattro giardini botanici (la serra tropicale afromontana, gli Orti del MUSE, le Viote del Bondone e l'Arboreto di Arco).
Limnologia e Algologia che si occupa della biologia delle acque interne. Negli ultimi anni sono stati studiati anche altri ambienti come il Lago di Garda e torrenti mediterranei.
Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia, zoologia dei Vertebrati, biodiversità tropicale, geologia e preistoria.

Il MuSe è soprattutto per Trento un'incredibile fucina di idee e di
attività. Conferenze, incontri, visite guidate ma anche semplici aperitivi: Drink and think, tutti i giovedì sul parco antistante l'ingresso del museo, è l'deale per passare un momento di convivialità senza rinunciare a riflettere in modo leggero su temi scientifici.

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D'in su la vetta della Torre Branca

Era inevitabile.
Sono tantissimi i luoghi di Milano in cui il pensiero non può che correre a Tommaso Labranca, ma questo forse più di molti altri. Sarà forse l'assonanza con il suo nome, sarà che la poesia da cui questo verso è tratto fa parte di quelle Poesie dell'Agosto Oscuro (2005), così rappresentative della sua intelligenza e sensibilità, sarà che da lassù si vede tutta la sua Milano, ma la salita su questa Torre per me è stato qualcosa di altamente simbolico. 

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Altamente sì, per la precisione 108,60 metri di simbolo. Realizzata nel 1933 su progetto di Giò Ponti, fu inaugurata con il nome di Torre Littoria in occasione della V Triennale di Milano. Chiusa alle visite nel 1972 è tornata visitabile nel 2002, dopo l'acquisizione e la ristrutturazione da parte della società Branca, quella del Fernet, che vi installò dapprima un bar ristorante e che oggi la gestisce come punto panoramico.
E la vista sulla città è davvero unica.

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Non era una giornata particolarmente tersa, il caldo afoso rendeva l'aria molto pesante, ma, chissà per quale assurda contingenza atmosferica, si riuscivano stranamente a vedere le Alpi. Innevate.
E mentre la guida ci raccontava un po' la storia della Torre, ripetendo più volte "la Branca, la Branca, la Branca" per riferirsi all'azienda che ha ridato vita alla costruzione, a me veniva da sorridere un po'.

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Ecco il sonetto con relative note dell'autore. E' uno dei due di ispirazione leopardiana che Tommaso Labranca ha dedicato al locale di tendenza che si trova ai piedi della Torre Branca. 

 

Due sonetti dinanzi al Just Cavalli1

D’in su la vetta della Torre Branca2
Passerei solitario questa estate
Spaziando il guardo oltre le vetrate
Sulla città che adesso è giù in Sri Lanka

A Formentera, Cuba o nelle Azzorre.
Io solo resterei là sulla torre
A individuare i luoghi in cui ho vissuto
Cercandoli felice nel tessuto

Urbano, ma il passo mi è precluso
Da un buttadentro dallo sguardo ottuso.
La torre condivide il suo portale

Con quello che conduce ad un locale
D’uno stilista dal casato equino
Che non gradisce v’entri il popolino.

 

 

1Il Just Cavalli è un locale di presunta tendenza, decorato con eccessi estetici tipici del barocco brianzolo (cfr. Tommaso Labranca, Estasi del Pecoreccio, Castelvecchi 1995). Si trova a Milano, nel Parco Sempione sotto la Torre Branca.

2La Torre Branca (ex Torre Littoria) è una torre metallica alta oltre 100 metri, uno dei pochi punti da cui si può vedere Milano dall'alto. È opera dell'architetto Giò Ponti, inaugurata nel 1933 in occasione della Quinta Triennale di Milano. E' stata riaperta recentemente al pubblico, ma spesso l'ottusa security del Just Cavalli non vi permette l'accesso temendo che il visitatore ipsofilo della torre devii in realtà verso i divani zebrati dell'esclusivo locale.

 


Galleria Campari a Sesto San Giovanni

Tutto per me è nato da questa immagine.

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Negli anni in cui ci capitava di passare nei paraggi per vicinanza abitativa e logistica questo posto era un cantiere. Si tratta dell'edificio in cui si trova la sede della Campari a Sesto San Giovanni, costruito su progetto dell'architetto Mario Botta proprio negli anni 2007-2009 e che ha recuperato lo storico fabbricato realizzato nel 1904 da Davide Campari, che risulta ora incastonato in questa struttura futuristica. E futurista.

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Futurista perché l'ispirazione e il tributo di Mario Botta verso Fortunato Depero è più che evidente.

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La collaborazione di Depero con Campari fu lunga e prolifica. Questo sopra è il progetto del 1933 per il padiglione Campari in un'esposizione internazionale. 
Il tributo di questa struttura all'artista roveretano è sottolineato anche dalla dedica e dalla realizzazione dei due "intarsi" sulle facciate laterali dell'edificio originario, che riproducono appunto due disegni di Depero per Campari.

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Depero è à l'honneur, ma la visita alla Galleria Campari offre un'interessante panoramica sulla sorprendente capacità di comunicazione di questa azienda, che si è avvalsa di artisti eccezionali, di innovazioni all'avanguardia e di intuizioni geniali per far vivere e conoscere il proprio marchio sin dai primi decenni del secolo scorso.

Aperta al pubblico nel 2010, in occasione dei 150 anni di vita dell'azienda, raccoglie un incredibile quantità di materiale di grande valore storico e artistico.

La struttura ospita gli uffici amministrativi della Campari e serve anche come spazio per eventi, realizzabili nella lobby di 1000 mq o nel grande parco all'esterno.

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La Galleria è un vero e proprio museo, la cui visita è un'esperienza sensoriale completa, visto che per compierla ci si avvale di sistemi multimediali, come il video wall con 15 schermi dedicati ai caroselli dagli anni ‘50 agli anni ‘70, i proiettori con i manifesti d’epoca, le immagini dedicate agli artisti, ai calendari e agli spot pubblicitari fino alle recenti "12 storie" emesse quest'anno su youtube in sostituzione del calendario cartaceo. 
Infine un tavolo interattivo con 12 schermi touch screen consente di fruire gran parte del vasto patrimonio artistico dell’azienda.

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Al primo piano della galleria, dopo un'interessante excursus sulla storia della Campari, si possono ammirare tra il resto i manifesti originali della Belle Epoque e le grafiche pubblicitarie dagli anni ‘30 agli anni ‘70 firmate da importanti artisti come Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Franz Marangolo, Guido Crepax e Ugo Nespolo.

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Al piano superiore l'esposizione continua con oggetti dei decenni successivi, firmati da affermati designer come Matteo Thun, Dodo Arslan, Markus Benesch e Matteo Ragni. 

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L'ultima zona è dedicata alle esposizioni temporanee, in questo caso si trattava di foto storiche del Giro d'Italia di cui la Campari è stata a lungo sponsor.

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Palazzo della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Trovandoci in zona a Milano non potevamo non passare a vedere la nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Il palazzo, inaugurato il 13 dicembre 2016 e progettato da Herzog & De Meuron, sorge in viale Pasubio, accanto a Porta Volta ed è formato da due edifici adiacenti ma distinti, il più piccolo dei quali occupato dalla Fondazione, il più grande dal quartier generale di Microsoft in Italia. 

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La struttura lunga e stretta, dalle prospettive affilate e la cui modularità delle linee nasconde imprevedibili incidenze e discontinuità, fa dell'edificio quasi una membrana tra la città reale e quella che si sviluppa idealmente oltre le ampie vetrate, dentro gli spazi aperti e attraverso l'estesa area verde.
L'allestimento di quest'ultima per la verità non è ancora terminato, ma si può già indovinare e prevede un grande giardino con viali e piste ciclabili. 

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Al piano terra da una parte la libreria Feltrinelli, dall'altra lo spazio vendita di Microsoft, ma entrambi gli esercizi sono anche e soprattutto luoghi di ritrovo, bar e al tempo stesso soggiorni in cui la cultura e la tecnologia si uniscono all'intrattenimento, allo studio e al gioco.

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La Fondazione Feltrinelli ai piani superiori ospita spazi per concerti e spettacoli, uffici e aule per incontri e seminari. La sala di lettura si trova al quinto e ultimo piano. 

 

 

 

 


Palazzo Lombardia - Dall'Isola a Corso Como

Domenica mattina a Nizza, apro gli occhi e penso che devo ancora preparare la borsa per i prossimi due giorni di trasferta a Milano e dintorni. Una trasferta solo accidentalmente turistica, tanto che non abbiamo ancora deciso bene come passare la giornata che abbiamo davanti e che è più che altro propedeutica al lunedì successivo, con i suoi impegni per lo più lavorativi.

Apro gli occhi e come in genere succede al Marco, che evidentemente negli ultimi tempi manca un po' di ispirazione, ho la mia illuminazione quotidiana: "ma non è la domenica che si può salire al Palazzo della Regione Lombardia?" "ah sì aspetta che controllo, bella idea"

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Eccoci quindi, dopo circa quattro ore, a fare la nostra prima tappa milanese: Palazzo Lombardia e relativo belvedere.

E' solo un caso se abbiamo evitato le incredibili code che si sono create per salire sulla torre nelle ore successive. Un consiglio spassionato è infatti quello di recarsi a fare la visita al 39° piano, che è accessibile al pubblico solo la domenica dalle 10 alle 18, in mattinata o nelle prime ore del pomeriggio perché dopo l'attesa rischia di essere davvero lunga, visto che il numero di persone che sono ammesse nelle sale del belvedere è limitato e strettamente controllato.

L'ascensore che ci porta in pochi secondi a circa 160 metri di altezza è velocissimo (43 km/h ci ha detto l'addetto) e soprattutto in discesa ha conseguenze tangibili su chi ha la pressione un po' bassa come me. 

Ma quando si arriva lassù la vista di cui si può godere è davvero eccezionale.

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Anche se la giornata non è limpidissima sono visibili molti degli edifici più rilevanti della città, compreso il grande catino di San Siro a 5 km di distanza. A dire il vero la vaga foschia che accarezzava gli edifici più lontani e da cui sembravano spuntare la torre Isozaki e il costruendo "Storto" davano quasi un tocco di magia all'immensa città che si estendeva sotto i nostri piedi.

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Palazzo Lombardia è un complesso di edifici 
curvilinei collegati da una piazza di forma ovoidale con una copertura in materiale plastico, che è la piazza coperta più grande d'Europa. È intitolata alle Città di Lombardia e può raggiungere una capienza superiore alle tremila persone. 

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Da qui ci dirigiamo in seguito verso Piazza Gae Aulenti attraversando il quartiere Isola.
Quesa zona deve il suo nome al fatto di essere rimasta isolata, più di un secolo fa, dal resto della città a causa del passaggio della ferrovia. Quartiere un tempo abitato soprattutto da famiglie operaie, conserva ancora una atmosfera da villaggio, che si amalgama oggi in modo piuttosto originale con le costruzioni moderne spuntate tutt'attorno negli ultimi anni.

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Passiamo sotto al celebre Bosco Verticale mentre la Torre Unicredit ci sovrasta all'orizzonte.

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Piazza Gae Aulenti è diventata un nuovo centro città. Devo ancora capire se tutte le volte che ci vengo il cielo è sorprendentemente blu per pura coincidenza o se non siano piuttosto i palazzi a renderlo tale riflettendosi l'un con l'altro nei rispettivi cristalli azzurrati.

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Un nuovo percorso urbano si è aperto con lo sviluppo di questa zona: da qui si passa direttamente a Corso Como e infine a Piazza 25 Aprile dove una sosta a Eataly ci permette di procurarci il necessario per l'aperitivo.

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Aperitivo che avrà luogo non troppo lontano, nell'accogliente alloggio che ci ospita di fronte al Palazzo Diamante, in quello che è oggi chiamato Samsung District.

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Io la trovo sempre più affascinante questa città che dimostra di saper far nascere il nuovo coltivando le sue preziose radici storiche.

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La Basilica di Sant'Ambrogio a Milano

Voluta dallo stesso vescovo Ambrogio che ne promuove la costruzione a partire dal 379, la basilica era destinata ad accogliere la sua tomba, ma il ritrovamento nel 386 nell’area della necropoli delle spoglie di Gervasio e Protasio lo convince a dedicarla ai due Santi: la basilica prende infatti il nome di basilica Martyrum.

Dell’originaria costruzione ambrosiana si conserva solo la pianta a tre navate divise da 13 colonne per lato. La basilica Martyrum aveva probabilmente una sola abside e presentava copertura lignea. Nel IX secolo subì importanti ristrutturazioni, tra cui la costruzione della grande abside decorata da un prezioso mosaico. Anche il ciborio fu decorato in questo periodo, lo stesso cui risale l'Altare di Sant'Ambrogio, capolavoro dell'oreficeria carolingia.

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La struttura attuale risale alla fine dell'anno Mille quando venne ricostruita secondo i canoni dell’architettura romanica per volontà del vescovo Anselmo. La nuova costruzione aveva tre navate e tre absidi, non aveva il transetto e manteneva il quadriportico. I monaci Benedettini, per primi, si occuparono dell’amministrazione della basilica, ma nel 1497 furono sostituiti dai Cistercensi. Nel 1799 fu chiusa in seguito alla dominazione napoleonica e solo con la fine di questa fu riaperta al culto. Danneggiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, dovette subire numerosi interventi di restauro.

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La facciata a capanna è caratterizzata da due logge posizionate una sopra l’altra e da archetti pensili. Ai lati della facciata ci sono due campanili risalenti a periodi differenti, quello di destra, che sembra una torre difensiva, si chiama Torre dei Monaci e venne costruito nell’VIII secolo, mentre l’altro, denominato Torre dei Canonici, è del XII secolo.

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Il quadriportico, cioè il cortile porticato su quattro lati antistante la chiesa, serviva un tempo a riunire i catecumeni al cospetto della chiesa, ma prese in seguito quella di radunare le persone per assemblee religiose o civili.

All’interno della basilica si trova il sacello di San Vittore in Ciel d’Oro, una cappella costruita nel IV secolo, prima della basilica stessa e dedicata dal vescovo Materno a San Vittore, famosa per la presenza di un mosaico che raffigura alcuni santi, tra i quali anche Sant’Ambrogio.

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Sotto l'altare si trovano le reliquie dei Santi, visibili da una finestrella nella cripta costruita nella seconda metà del X secolo.

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Complessivamente, la luce non appare diffusa e leggera come nelle chiese paleocristiane ma scarsa
 e fortemente contrastata. Essa non fu accentuata neppure dall'aggiunta del tiburio che si limita ad illuminare il cerchio ad esso sottostante.

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Nella basilica sono conservati a testimonianza della fase paleocristiana dell’edificio pochi ma significativi pezzi di notevole livello artistico.

L’ambone in marmo sorretto da un loggiato di colonnine antiche è riconosciuto come una delle più importanti espressioni del romanico lombardo. Realizzato tra il 1130 e il 1143, la sua complessa decorazione è in gran parte ispirata dai testi scritti da Sant’Ambrogio che trattano il tema del Peccato e della Redenzione

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Al di sotto dell’Ambone romanico si può ammirare un imponente sarcofago in marmo di Carrara degli anni 385-390 decorato con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, noto come “sarcofago di Stilicone”, dal nome del generale Vandalo al comando degli eserciti degli imperatori Teodosio e Onorio.

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Nella piazza, sul lato sinistro rispetto alla basilica è presente una colonna, detta "la colonna del diavolo". Di epoca romana e trasportata qui da altro luogo presenta due fori, che la tradizione vuole siano stati lasciati dalle corna del demonio mentre cercava di trafiggere il Santo. In realtà questa colonna veniva usata per l'incoronazione degli imperatori germanici. 

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Un'altra colonna, all'interno questa volta, ospita invece alla sua sommità il "Serpente di Mosè". È una scultura in bronzo (in passato creduta quella originaria di Mosè) donata dall'imperatore Basilio II nel 1007. Al serpente si indirizzano preghiere per scacciare alcuni tipi di malanni e si dice che la fine del mondo verrà preannunciata dalla sua discesa da questa colonna
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Milano Nuova

Porta Nuova. Attraverso la ricomposizione dei tre quartieri Garibaldi, Varesine e Isola, il progetto Porta Nuova, che si estende per oltre 290.000 m2 includendo un percorso pedonale continuo con aree verdi, piazze, ponti e un grande parco, è il volto nuovo di una città che qui sembra davvero proiettata verso il futuro.

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La
 Piazza Gae Aulenti è il centro del nuovo distretto Isola. Progettata dall'architetto argentino Cesar Pelli, sopraelevata rispetto al livello della strada, la piazza è dominata dalla Unicredit Tower che con i suoi 231 metri è il grattacielo più alto d'Italia.

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La piazza Gae Aulenti è arricchita da tre fontane circolari, circondate da una panchina-scultura. Al centro Solar Tree, l’albero fotovoltaico progettato per Artemide da Ross Lovegrove, composto da bolle di led che si illuminano di notte grazie alla luce accumulata durante il giorno dai pannelli fotovoltaici.

Da questa futuristica piazza sono visibili anche le torri Garibaldi, i grattacieli del Bosco Verticale, la torre Solaria, il Palazzo Lombardia e il Grattacielo Pirelli. Un passaggio pedonale collega la piazza con Corso Como.

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Al confine tra la piazza e i giardini di Porta Nuova sorge l'Unicredit Pavilion. E' uno spazio polifunzionale per conferenze, concerti ed esposizioni ed è composto da un nucleo in cemento armato e uno scheletro esterno in legno.

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In questo periodo la piazza ospita un mercatino natalizio, una pista di pattinaggio coperta e l'albero di Natale offerto da Unicredit che riporta gli auguri in tutte le lingue in cui il gruppo bancario è presente. 

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La piazza è arricchita dalla prima opera di arte urbana di Alberto Garutti dedicata a chi, passando, “penserà alle voci e ai suoni della città”: Le voci della città è composta da ventitré tubi in alluminio ossidato ottone che si allungano attraverso il varco che permette il ricircolo dell’aria dai piani del parcheggio a quelli superiori.

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