L'esposizione temporanea che in questo momento è allestita al Mamac di Nizza e che vi resterà fino al 16 settembre riunisce, sotto il titolo di Cosmogonies, au gré des éléments i lavori di una cinquantina di artisti accomunati dalla ricerca sulle possibilità creative degli elementi naturali.
A partire dagli anni '60 il loro potere evocativo ha infatti ispirato molte opere e suggerito interessanti letture del rapporto tra l'uomo e la natura. Che si trattasse di cercare di padroneggiarle o di lasciare che queste forze agissero liberamente, la carica espressiva di aria, acqua, terra e fuoco ha fatto sì che si intrecciasse un connubio assai prolifico tra arte e regno naturale.
Il tentativo di intrappolare, di catalogare, di riprodurre gli effetti transitori di queste energie non controllabili ha generato opere la cui poesia è a tratti disarmante.
Molte mi hanno colpito in modo particolare. Tra di esse quelle in cui l'effimero tenta di prendere una forma definitiva, l'informe cerca di fissarsi e il linguaggio -verbale e non- crea universi dall'architettura liricamente impalpabile.
Soffio di foglie (Giuseppe Penone 1979): l'artista imprime la traccia del suo corpo in un cumulo di foglie morte, come per ridare vita alla natura ormai inanimata.
Waterfall (Ruri 2004): delle correnti acquatiche sono stampate su del vetro acrilico che imita la superficie riflettente dell'acqua, mentre il suono di una cascata udibile attraverso una cuffia tenta di unire i pezzi di questa visione frammentata.
Cloud piece, earth piece, snow piece (Yoko Ono 1963): pubblicate in Grapefruit, una raccolta poetica di istruzioni individuali, diventano qui installazione, invito all'azione, in un tentativo di avvicinare l'arte alla vita.
Slate Throws (Andy Goldsworthy, 1966): si tratta di sculture effimere, realizzate con elementi naturali trovati in loco. Fluide, cangianti, svaniscono nel momento stesso in cui sono create, come le Scritture sull'acqua di Maurizio Nannucci (1973).
La création de nuages (Barbara e Micheal Leisgen 1974): come degli esseri viventi le nuvole nascono e muoiono.
Adn (Charlotte Charbonnel 2006): l'artista si interessa dell'apparizione e scomparsa dei fenomeni naturali: nuvole, turbini, fumo, attrazione elettromagnetica, cristallizzazioni saline. Qui delle nuvole lattee sono ricreate in una soluzione di acqua e alcool. La loro durata limitata richiede cure costanti, una riattivazione continua di queste forme fino alla loro inevitabile dissoluzione.
La mémoire du vent (Bernard Moninot 2002): attraverso un apparecchio collegato a uno stelo vegetale l'artista cattura le oscillazioni del vento. In un tempo molto breve, in genere 30 secondi, un disegno si forma in negativo sul fondo affumicato di una scatola. Sono i venti di varie parti del mondo ad essere qui raccolti in una visione poetica e intimista.
Underground 04 Lens (Edith Dekyndt 2017): l'artista ha sotterrato per parecchi mesi l'opera in tessuto. Deseppellita essa rivela nella sua parziale decomposizione le modificazioni della materia che diviene vivente.
The mineral bod (Ilana Halperin 2016). Sculture di legno ricoperte di calcare: forme create dall'artista vengono lasciate ricoprire da incrostazioni minerali createsi con l'acqua estremamente calcarea della Laguna blu islandese, in cui il calore del magma vulcanico accelera il processo di sedimentazione realizzando in un anno il processo che avverrebbe in un secolo.
Salpêtre 1 (Capucine Vanderbrouck 2014): i cristalli di sale sono disposti al centro della sala creando un paesaggio fantastico. L'introduzione del sodio percarbonato nel deposito iniziale tinge di blu queste forme dando le sembianze di un paesaggio innevato a questa installazione transitoria e in continua trasformazione.
La terra è esplorata anche nella sua capacità di germinare, di produrre vita, l'atto di creazione si inscrive allora in un ciclo naturale che fa dell'artista una sorta di alchimista.
Si tratta di un'esposizione davvero ricca, una sola visita in effetti forse non basta. In ogni caso c'è tempo fino al 16 settembre per goderne ancora.