Tommaso Labranca - Nubigenia - scoperta e repentina scomparsa di un continente supernubilare
08/31/2016
Tommaso Labranca
nubigenia
scoperta e repentina scomparsa di un continente supernubilare
Questo testo elettronico ripete quasi integralmente la versione del 1991, rispetto al quale sono state eseguite minime variazioni.
Il file, il testo e le foto possono essere liberamente distribuiti citando la fonte. Realizzato ad agosto 2010
Ho ben presente il momento in cui ho smesso di essere giovane. È stato una sera del gennaio 1990. Fino ad allora avevo organizzato insieme agli altri membri del gruppo La Misère Provoque Le Génie diverse esposizioni e iniziative artistiche con l’appoggio del Comune di Peschiera Borromeo, dove abitavo. Manifestazioni tipiche di quella parte degli anni Ottanta un po’ cupa e creativa a ogni costo. Nulla a che vedere con Sandy Marton e compagni ibizegni. Quella sera del 1990 ero passato con un altro membro di La Misère in uno dei locali in cui avevamo organizzato i nostri eventi e trovai alcuni ventenni, vicini alla Lega Nord, che stavano preparando la prima delle loro serate di musica house. Capii istantaneamente che il nostro tempo era finito. Basta con le pretese culturali, i richiami stucchevoli alla Francia degli esistenzialisti o alla Germania del Bauhaus, le malinconie cimiteriali. Basta con l’appoggio della giunta comunista. Anzi, basta anche con i comunisti che stavano cambiando nome.
Il mio accompagnatore decise di buttarsi in questa nuova decade danzereccia, senza accorgersi di come fosse fuori luogo. Io mi ripiegai ancora di più su me stesso. Trovai persino un lavoro fisso, la mia sola esperienza da dipendente, tre anni scarsi come redattore in un service che produceva enciclopedie a fascicoli per la De Agostini. Fu lì che imparai a usare i programmi di impaginazione con cui poi, tra il 1992 e il 1994, realizzai i dieci numeri di TrashWare e i tre libretti autoprodotti Agiografie non autorizzate, Giovani salmoni del trash e Giovani Salmoni del trash 2.0.
Prima però ci fu Nubigenia. Ricordo molto poco dei giorni in cui scrissi questo testo, se non che stavamo vivendo l’inizio della prima guerra del Golfo. Mi è rimasta solo l’impressione che il 1991 sia stato uno dei peggiori anni della mia vita. Avevo questa serie di mie fotografie ancora intrise di quel gusto funereo del decennio che si era concluso e fu forse mettendole in un raccoglitore che mi venne in mente di legarle in una storia. Di presentarle in un ultimo momento espositivo, cercando ospitalità in un paese vicino, Mediglia, dal 9 all’11 marzo del 1991.
I visitatori ricevevano una copia del fascicolo con il testo. Leggendolo e basandosi sulla numerazione, seguivano l’esposizione delle foto e la narrazione.
Ho rimosso tutto di questa esperienza. Non avevo nemmeno conservato un esemplare del fascicolo. Quando Nubigenia mi è tornata improvvisamente alla memoria, sono andato alla biblioteca di Mediglia e ho scoperto che avevano conservato una copia della guida e della cartolina informativa.
Anche dopo aver riletto il testo e rivisto le foto (quelle rimaste: parecchie sono andate smarrite) non mi ritorna in mente quasi nulla. Solo una cosa. La sera in cui stavo allestendo l’esposizione delle foto entrò in biblioteca un ragazzotto un po’ semplice, tipico esponente della fauna locale. Domandò cosa stessi facendo. Cercai di spiegarglielo in poche parole. Con la sincerità dei semplici il suo commento fu: «Mi sembra una stronzata».
Inutile dire che aveva pienamente ragione.
agosto 2010
scoperta e repentina scomparsa di un continente supernubilare
9-10-11 marzo 1991
presso la biblioteca
via primo maggio
mombretto di mediglia
Entriamo nella storia quando già è cominciata
Sono vittima della mia invenzione e ora, dopo aver immaginato un unico filo che collega labilmente alcune fotografie, dovrei sentirmi obbligato a scendere nei dettagli. Ma ci sono cose di Nubigenia che non mi va di raccontare.
Non trovo utile né divertente dover inventare strani percorsi, avventure risapute o qualsiasi altro evento ignoto che giustifichi il mio arrivo a Nubigenia. Credo sia sufficiente dirvi che un giorno ho scoperto i nubigeni e i nubigeni hanno scoperto, attraverso me, tutti gli altri abitanti terrestri.
Vi faccio entrare nella storia quando questa è già cominciata, proprio come succede quando veniamo al mondo o quando in-contriamo una persona per la prima volta.
A Nubigenia gli opposti convivono
Nubigenia fa parte del nostro pianeta, ma la distanza dal suolo e lo spettacolo sidereo che da li si può osservare la pongono in un universo intermedio. Io reputo questo universo perfetto poiché le sue leggi non impongono la scelta necessaria tra una cosa e l’altra all’interno delle tante contrapposizioni in cui ci dibattiamo. Né i nubigeni cercano di superare i dualismi in uno sforzo innaturale verso il nulla. Vivono unendo gli opposti, senza neanche accorgersi di farlo. Cambiano posizione e idea ogni volta che ne hanno voglia.
A Nubigenia, per esempio, esistono i concetti di spirito e materia e anche l’associazione della positività, al primo, e della negatività alla seconda. Essi però vivono le due dimensioni contemporaneamente, senza vergognarsi di unirle.
Sono vittima della mia invenzione e mi ritrovo a invidiare la libertà di non scegliere propria dei nubigeni; la loro possibilità di vivere una situazione riassuntiva è una delle cose che più mi sono piaciute di Nubigenia.
Nubigenia è dall’altra parte della clessidra
Vi hanno fatto credere di aver esplorato tutto, mostrandovi fotografie magari scattate in studio. Invece, nella zona delle montagne più alte, che credo debba trovarsi in Asia, esiste una vetta non ancora esplorata. Ha le pareti perfettamente lisce che si restringono creando un cono fino all’altezza di circa settemila metri. Ma la sommità è invisibile poiché è immersa in una coltre di nubi perenni. Questo non deve stupire: se esistono le nevi perenni possono anche esistere le nubi perenni. E poi anche l’Olimpo era coronato similmente. A differenza dell’Olimpo, però, questo monte non termina all’interno dell’ammasso nuvoloso, ma da qui comincia nuovamente ad allargarsi, assumendo la forma di una clessidra [1].
Sale specularmente identico alla parte inferiore e dopo altri settemila metri d’altezza lo sviluppo conico si interrompe. Sulla superficie piana di questa anti-base sorge Nubigenia, i cui confini tracciano un quadrato perfetto [2]. Certo: è impossibile che un cono abbia per base un quadrato. Ma non potete pretendere che a quattordicimila metri di altezza la geometria segua le stesse regole che la governano al livello del mare.
[1, 2] Foto smarrite
Distrazione e presunzione nascondono molto
Possibile che aerei, satelliti e astronavi non si siano mai accorti di questo monte alla rovescia? È assolutamente possibile. Dallo spazio Nubigenia non si vede, poiché le sue tinte si mimetizzano con quelle delle nuvole sottostanti. E in quanto ai pochi aerei che fanno rotta di qui, essi passano piuttosto lontano; i piloti badano agli strumenti e guardano ciò che hanno di fronte, non sopra di loro; tra i passeggeri nessuno guarda fuori dal finestrino: sono tutti impegnati a fingere abitudine e quasi noia per il volo, nascosti dietro i giornali o immersi in un sonno agitato.
Ai nubigeni non serve un nome per indicarsi
Un’altra mia pigrizia narrativa riguarda l’invenzione di un linguaggio che imiti quello ipoteticamente parlato dagli abitanti di questa terra inesistente. Mi sentirei ridicolo se dovessi creare suoni che sembrino impossibili e veritieri allo stesso tempo. Non vi citerò dunque un solo nome nella mia immaginata lingua nubigena, proprio perché non ho voglia di immaginarla. L’unico sforzo che ho dovuto compiere è stato quello di trovare un nome per questa terra sopraelevata e per i suoi abitanti. I nubigeni non ne usano alcuno per indicare il luogo in cui vivono. Il perché è semplice. Noi dobbiamo necessariamente distinguerci in europei, asiatici, africani o anche italiani, portoghesi, finlandesi. I nubigeni invece non provano questa necessità, poiché ignorano l’esistenza di altre nazioni o popoli: essi si ritengono gli unici esseri viventi su un territorio indiviso.
Un mondo lontano, ma parallelo
Pur così distanti e isolati dal resto del mondo, i nubigeni hanno avuto una evoluzione simile alla nostra. Quando un’invenzione fa la sua comparsa sul resto della terra, essa appare anche a Nubigenia. Così vi ho trovato tutto ciò che abbiamo noi, e allo stesso livello di sviluppo. L’unica cosa che varia è tavolta l’utilizzo degli oggetti. I cartelli stradali, per esempio, esistono anche a Nubigenia, ma non essendovi luoghi da indicare, poiché il territorio è unico, sono completamente neri [3].
Si soffre per mancanza, non per ignoranza
Nubigenia non ha dunque nulla in più di noi. Spesso ha qualcosa in meno di noi. Una differenza tecnologica che può colpire è l’inesistenza degli aereoplani. Lassù nessuno ha mai pensato di inventarne uno, perché nessuno ha mai pensato di volare. A quattordicimila metri nessun uccello è mai riuscito ad arrivare né ad adattarsi. Così, senza rondini o poiane da osservare, a Nubigenia non è mai nato il desiderio del volo. Al museo che raccoglie oggetti dalle origini inspiegate sono conservati due passerotti congelati [4], giunti a Nubigenia nelle stesse modalità non narrate che vi hanno condotto me. Nessuno può immaginare che da vivi quei piccoli ammassi di piume possono volare.
Ma questi per i nuibigeni sono solo “oggetti inspiegabili”, proprio come quei pesci congelati [5] (loro naturalmente non sanno che si chiamano così) che, conservati nella teca accanto ai passeri, attirano l’attenzione di un popolo che non conosce mari e fiumi.
Ho già detto che gli aeroplani volano distanti da Nubigenia e solo raramente. Una mattina di qualche anno fa, però, un aereo finito fuori rotta è passato molto vicino a questa terra sconosciuta. Naturalmente, nessuno si è accorto di nulla, poiché i piloti non guardano mai in alto e i nubigeni non guardano mai verso il basso. Nessuno è infatti così stupido da andare ad affacciarsi oltre i limiti netti dei confini. Inoltre, il giorno nubigeno viene trascorso in uno stato di semitorpore: pochi hanno dunque visto l’aereo e solo un nubigeno è riuscito anche a fotografarlo. La foto [6], famosissima a Nubigenia, è esposta nel museo degli oggetti inspiegabili e ha sempre diviso i nubigeni tra chi crede e chi non crede in altre forme di vita extraterrestri. La stessa foto è stata di grande aiuto nella diffusione dell’idea di volo.
Oggi i nubigeni sanno che è teoricamente possibile volare, ma non si impegnano più di tanto nella ricerca, poiché ritengono questa esperienza inutile. In particolare perché questa regione è così piccola che non è assolutamente sentito il bisogno di accorciare le distanze. Qualche scienziato ha fatto notare: poiché Nubigenia gira intorno al Sole, chi si solleva dal suolo resta sospeso nell’aria, mentre sotto di lui il continente piatto continua a spostarsi. Per riatterrare bisogna attendere che, al compimento di un anno nubigeno (pari al nostro), la terra sia tornata nella posizione in cui era al mo- mento del decollo. E quale utilità può avere starsene sospesi per un anno, in attesa di tornare giù?
Proprio in virtù della non necessità di scegliere, ogni azione a Nubigenia è regolata dall’incoerenza. Così, molti di quelli che hanno dapprima criticato l’utilità del volo, sono oggi impegnati nella costruzione della torre di lancio. Con questa torre (che a noi può ricordare molto da vicino una gru edilizia [7]) i Nubigeni cercheranno di raggiungere la Luna della Luna. Il funzionamento pare facile: nella cabina sita all’estremità del braccio rotante prenderà posto l’apparecchiatura elettronica di trasmissione da spedire sul sottosatellite (è impossibile per il momento inviarvi un essere umano: come potrebbe ritornare a casa?).
Cercando di ricordare quel poco che avevo capito dalle spiegazioni fornitemi, sembra che facendo girare il braccio a velocità crescente e sganciando la cabina in un determinato momento, sia possibile immettersi nella traiettoria giusta per raggiungere la Subluna [8].
La torre, quando l’ho visitata, era già alta duecento metri. Nella mia piccola macchina fotografica non ci stava tutta e allora ho dovuto riprenderla in una specie di collage di immagini [9]. Il metodo di costruzione è abbastanza inusuale: dapprima hanno preparato il braccio rotante, quindi sollevando le parti già pronte aggiungono sempre nuovi moduli che accrescono l’altezza della torre. I tecnici dicono che la rampa sarà pronta quando per il troppo peso non sarà più possibile sollevarla.
Straordinaria scoperta di un sottosatellite
Ho parlato di una Luna della Luna e ora devo trovare una giustificazione a questa mia invenzione. Data l’altezza cui sorge Nubigenia è ovvio che
le cose del cielo siano visibili meglio di là che dal nostro sconsolante livello del mare. E naturalmente il più vicino dei corpi astrali, la Luna, sarà anche quello che appare meglio dettagliato. È così: da Nubigenia si intravedono a occhio nudo crateri e mari selenici, ma soprattutto si resta colpiti dalla veridicità di quello che da quaggiù sembra un volto di donna, spacciato dai nostri astronomi per un gioco di ombre e che invece è proprio un volto di donna [10]. A Luna crescente, il volto appare di lato, mentre guarda in su. Proprio durante questa fase ho scattato una fotografia. A Luna calante, il profilo del volto guarda ovviamente in giù.
Solo nel periodo di Luna piena il volto è completamente rivolto verso Nubigenia. Ma questa non è una fase molto apprezzata, poiché l’eccessivo chiarore disturba la visione dello spettacolo sidereo. Intorno a questa prima Luna (che è quella che vediamo anche noi) ne gira un’altra, un sottosatellite uguale al primo ma molto più piccolo. I nubigeni hanno scelto di esplorare questa miniluna sia perché è più vicina, sia perché non essendo altrettanto visibile quanto la Luna maggiore, la si conosce molto meno. E se persino da Nubigenia il sottosatellite è osservabile a fatica, da noi è del tutto invisibile. Chi ne ha mai sentito parlare? Chi ha mai potuto vederlo? Nessuno. E non solo per le dimensioni: pur nei momenti in cui non transita dietro al satellite maggiore ma gli passa davanti, essendo perfettamente uguale a questo per materia e colore, risulta completamente mimetizzato. Certo: astronauti, scienziati e tecnici della NASA sanno perfettamente dell’esistenza di questa Luna della Luna, ma non ne hanno mai parlato per questioni di economia. Infatti, ritirare tutti i testi di astronomia esistenti per modificarli con i nuovi dati verrebbe a costare troppo. E poi, ammettiamolo, cosa può cambiare nella nostra vita il sapere che esiste una seconda Luna? Nulla, perché da noi l’osservazione del cielo è poco diffusa, anzi è considerata quasi una perdita di tempo. Invece a Nubigenia è un appuntamento quotidiano irrinunciabile.
Un’attesa ripetuta ogni ventiquattro ore
Tutto ciò che può colpire il visitatore del quadrato di Nubigenia di giorno perde ogni interesse se raffrontato a ciò che vi avviene ogni notte. Saranno forse i quattordicimila metri di altezza, sarà magari una più favorevole posizione geografica o una consistenza particolare dell’aria che funge da lente , ma da Nubigenia si assiste a occhio nudo a fenomeni celesti inimmaginabili sul resto della Terra, a meno di non ricorrere a potenti telescopi. La descrizione è difficile: pianeti visti non come semplici punti luminosi, ma come piccole sfere che si ingrandiscono, passano vicinissime, stazionano, retrogradano. Emissioni radio che qui diventano visibili come filamenti colorati. Meteore cubiche. Per evitare una narrazione che potrebbe sconfinare nella più vuota immaginistica ho preferito girare un video di una delle notti cui ho assistito [video].
Spero che vedendolo riusciate a comprendere l’atmosfera diffusa in quei momenti, anche se penso che per un terrestre sia difficile immaginare un simile evento senza legarlo a sensazioni misteriche, cosmiche, prometeiche. A Nubigenia, per fortuna, non è così. Guardate il video e ascoltate quale colonna sonora un nubigeno mi ha consigliato di usare.
[video] Non ho più alcuna idea di cosa rappresentasse quel video e quale fosse la musica che lo accompagnava. Non ricordavo nemmeno di aver utilizzato un video.
Un terrestre (e forse anch’io, lo confesso) avrebbe scelto una musica spaziale, fatta di sibili, scoppi e cori mistici. perché per i terrestri tutto deve essere coordinato, falsamente coordinato. A Nubigenia non è obbligatorio essere sempre e solo da una parte. È meglio mescolare. È difficile adeguarsi al pensiero di Nubigenia, a meno di non essere dei mescolatori inconsci. Di fronte a questi fenomeni celesti si è portati a pensare all’Assoluto. E nel supermarket dell’animistica terrestre l’Assoluto si lega necessariamente a trombe o timpani o vocalizzi incorporei. La scelta del nubigeno può sembrare inopportuna ed empia alle orecchie preconfezionate nella banalità, ma è la migliore scelta possibile: è una scelta di distacco e rifiuto della partecipazione viscerale. Ma allo stesso tempo è una scelta di altissima spiritualità che ci insegna come l’Assoluto sia ovunque, nelle costellazioni come nel cha cha cha.
Padroni del proprio tempo
Per non perdere neanche una notte di spettacoli siderei i nubigeni hanno messo a punto dei sistemi avanzatissimi di riassettamento meteorologico. Mi accorgo di inventare ritrovati tecnologici inesistenti sul resto della terra e che invece poco più in su avevo parlato di uno sviluppo identico tra le due parti di mondo. Potrei giustificarmi dicendo che questa è in fondo una guida imperfetta e che se creassi un meccanismo impeccabile non si tratterebbe più di un’opera di fantasia, ma di matematica. In realtà, celebrando l’incoerenza positiva di Nubigenia cerco di nobilitare la mia stessa incongruenza di pensiero. Perdonatemi e continuate a seguirmi nella visita a una Centrale di Denubizzazione. Anche qui esistono giorni sereni, caratterizzati dal diffondersi di una luce fortemente azzurrata [11], e giorni coperti in cui la luminosità si attenua e assume toni verdastri [12].
Ciò si vede molto bene nelle dominanti delle immagini che ho ripreso. Se al tramonto di un giorno verde le condizioni meteorologiche non accennano a migliorare [13], entrano in funzione questi potentissimi aspiratori di nubi che puliscono il cielo e permettono di assistere a quanto le effemeridi prevedono e anche a tutto ciò che di inatteso ogni notte accade nello spazio più vicino al nostro pianeta.
Ho scattato una foto a un denubizzatore in attività, ritraendolo mentre aspira gli ultimi residui di una formazione nuvolosa [14]. Purtroppo non mi sono potuto avvicinare molto, ma solo perché la potenza degli aspiratori è tale che se ne deve stare lontani. Non si tratta dunque di divieti dovuti, per esempio, a segretezza militare (a Nubigenia non esistono eserciti, non per convinzione pacifista, ma perché manca un altro popolo conosciuto con cui scendere in una eventuale guerra). Poiché il denubizzatore consuma molta energia, in caso la nuvolosità sia ridotta si usano i soffiatori [15]. Si tratta di ampie trombe che emettono getti d’aria capaci di dissolvere formazioni nuvolose di limitato spessore. Questi non sono pericolosi e sono riuscito a fotografarli molto da vicino.
Case e finestre come palchi e loggioni
Una volta ripulito il cielo, se ve n’è bisogno, tutti i nubigeni sono pronti ad assistere allo spettacolo sidereo. Non esistono luoghi particolari in cui raccogliersi per questo evento: lo si osserva dalle strade o più spesso dalle proprie case. E questo conferma ulteriormente la quotidianità dell’accadimento e quindi la semplicità del rapporto con lo spirituale. I modelli architettonici rispondono alla necessità di una osservazione ampia della volta celeste. Quindi tra un edificio e l’altro vi sono grandi spazi, le costruzioni hanno sempre pianta rettangolare, molto lunga e disposta parallelamente all’asse nord-sud.
Le pareti più lunghe sono letteralmente affollate di finestre sul fronte orientale [16] (quello da cui sorgono gli astri e nel quale più vivido è lo spettacolo notturno), mentre il lato occidentale è del tutto cieco [17]. Questo per quanto riguarda gli edifici comuni, simili ai nostri condomini. Vi sono costruzioni più recenti che riprendono il tema terrestre delle casette a schiera, ma che non rinunciano ai moduli nubigeni: la schiera è sempre parallela all’asse nord-sud, con tutte le finestre a est. Inoltre, ognuna di queste casette possiede il proprio tubo di partenza [18]. Questi sono strutture cui non so ancora che senso dare. Però ve ne è uno in ogni casa privata. E in quelli che sono i corrispettivi dei nostri condomini ve ne è uno di uso comune [19].
Superare i contrasti non significa annullarli
A Nubigenia si superano i dualismi, facendo toccare gli opposti. Eppure, per ribadire
ulteriormente le contraddizioni, è molto radicato il contrasto tra cerchio e quadrato che, banalmente, rappresentano la positività e la negatività. La materia è negativa (e quadrata) e lo spirito è positivo (e rotondo). Questa poco originale teoria trova una giustificazione nella forma dei due maggiori simboli della materia e dello spirito: la terra e il cielo. Sappiamo che la pianta di Nubigenia è quadrata e che la volta celeste ha forma sferica. Facile far derivare da questa casualità un’intera filosofia geometrica e morale. La principale applicazione di questa mentalità si riscontra nell’architettura. La suddivisione che noi tracciamo tra architetture moderne e antiche a Nubigenia assume gli attributi di pie ed empie. Sono pie le architetture della zona più antica, creata vicino al confine orientale. Si tratta di costruzioni in pietra, in cui una parte importantissima è giocata dagli archi [20], dalle finestre a rosone, dalle cupole. Dovendo servire essenzialmente alla visione della volta celeste è naturale che questi edifici cerchino di imitarne le forme. Il cerchio rappresenta la spiritualità a tal punto che i conventi nubigeni erano costruiti solo da grandi anelli di ferro sorretti da altissimi tubi di partenza. L’utilità di questi tubi mi appare sempre più chiara. I monaci nubigeni vivevano ognuno sotto uno di questi tubi, rinunciando del tutto alla pur minima attività diurna e materiale. Al momento della mia visita di questi conventi non era rimasto nulla, se non una sola piccola fotografia che sono riuscito a portare via con me [21].
Sono strutture in ferro e vetro basate spesso sul rettangolo [22], sullo spigolo [23] o su una forma che ricorda il quadrato, ma che quadrato perfetto non è mai. Ci sono dei motivi per queste scelte: il territorio di Nubigenia è limitato e non è più possibile scavare nell’unica cava esistente per ricavare la pietra da costruzioni, ecco perché si è passati al ferro e al vetro. Poi, questi edifici sorgono verso la zona centrale e tra loro e il confine orientale sorge la zona antica e pia. È naturale che per permettere una migliore visione dello spettacolo sidereo debbano essere più alti.
Il motivo di questa sparizione è l’affermarsi delle architetture empie, che a noi verrebbe da chiamare moderne.
Infine, le forme spigolose sono molto più pratiche quando si vogliono costruire velocemente edifici razionali.
Comunque il quadrato perfetto non viene mai utilizzato perché creerebbe troppa negatività negli abitanti di quei palazzi. Il quadrato perfetto in edilizia è usato solo per la prigione di Nubigenia, una specie di grande incastro di cubi [24] in cui si provano sensazioni sgradevoli, è molto difficile dormire e non si riesce a sentire il fascino misterioso dei movimenti celesti.
Nella prigione nubigena è compreso un tubo di partenza, ma anch’esso ha forma quadrata e credo che nessuno lo abbia mai utilizzato [25].
[25] Foto smarrita
Scettici e tardo-positivisti possono facilmente considerare tutto questo come superstizione. Ma vi sono esempi offerti dalla natura di che scuotono la saldezza di convinzioni razionali. Nella zona desertica settentrionale, per esempio, le uniche tracce di vegetazione sono quelle nate all’ombra di un tubo di cemento abbandonato e che, probabilmente, ha concentrato al suo interno circolare delle energie positive [26]. Al contrario, uno dei ragni più velenosi tra le poche specie presenti a Nubigenia tesse una tela con trama quadrata [27]. Si tratta quindi di un dualismo difficile da rifiutare in blocco e anche i nubigeni più scettici rispettano il monumento in cui si celebra la vittoria della positività sulla negatività: una distesa di quadrati maligni bianchi e neri, schiacciata da un cilindro benefico [28]. I nubigeni non sono mai definiti e anche questo simbolo ha un significato sfumato: il cilindro non è che una estensione in altezza di un cerchio, un tubo che collega il cielo alla terra e non schiaccia quest’ultima, ma la redime.
Ancora più antico delle architetture pie è il Cielo Di Pietra che sorge verso il confine nord-occidentale. Si tratta di una specie di grande effemeride materiale in cui alcune statue simboleggiano i pianeti noti sino dall’antichità (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, più il Sole e la Luna). Queste statue sono mobili e venivano spostate lungo circuiti che ne rappresentavano le orbite per prevedere gli eventi celesti più interessanti e spettacolari. Oltre a questi simboli mobili ve ne erano di fissi, come l’indicazione del Centro del Cielo. Ma a un certo punto, poiché i nubigeni preferiscono la sorpresa, l’apparizione inaspettata di stelle e pianeti che rende più affascinante l’osservazione astrale, il Cielo di Pietra fu abbandonato. Oggi è chiuso e l’ingresso è vietato perché le strutture sono pericolanti. Ho potuto quindi fotografare le statue dei pianeti riprendendole da un filmato conservato in un centro di documentazione. Qui, fra l’altro, si continuano a seguire e prevedere gli eventi celesti, utilizzando però grandi schermi e apparecchiature elettroniche, senza diffondere i dati rilevati [29]. Sono comunque andato al Cielo di Pietra. Non vi sono entrato, ma da fuori ho potuto riprendere almeno il Centro del Cielo, ormai quasi sommerso dalla vegetazione [30].
Sono rimasto molto colpito dalla incredibile somiglianza nelle attribuzioni caratteriali tra la simbologia astrologica nubigena e quella terrestre delle civiltà antiche. la bellezza di Venere [31], la giovinezza di Mercurio [32], il sonno plumbeo di Saturno [33], la prestanza di Marte [34], la potenza di Giove [35] sono le stesse riscontrabili, per esempio, tra i Greci. Uniche differenze simboliche sono quelle riservate al Sole [36] (che a Nubigenia non dà energia, ma semitorpore, come dimostrano i due personaggi che all’apparire del luminare abbassano il capo) e la Luna [37], anzi le due Lune, con la maggiore rappresentata mentre si cela il volto (evidentemente è ritratta in fase calante) e la minore che se ne tiene a distanza. Questa similitudine poteva essere soltanto un caso. Ma poco lontano dal Cielo di Pietra, verso la zona desertica settentrionale, ho visto qualcosa che mi ha fatto rifiutare completamente l’idea di casualità. Legati a una struttura non finita di pietre e cemento vi erano due cani [38]. La corda che li tratteneva permetteva loro di arrivare solo fino a due porte, appena accennate da dei pilastri. Mi hanno raccontato che si tratta di una costruzione tradizionale, in cui i cani vengono sostituiti regolarmente da moltissimi anni, ma di cui nessuno ricorda più l’origine [39],
Finitezza Delle Cose Nubigene
Il Cielo di Pietra, anche se pericolante, è stranamente ancora visibile. Sono poche le cose che restano a Nubigenia, dove a passare non è solo la gloria del mondo, ma tutto. Gli edifici, dopo essere rimasti disabitati per un certo periodo di tempo, cominciano a indebolirsi, assumono una consistenza gelatinosa. In una giornata ventosa, ho fotografato la prima fase ondulatoria di un edificio disabitato [40]. Questa fase è durata per qualche minuto, poi, ma così in fretta tanto da non permettermi nemmeno di cambiare la pellicola, l’edificio si è dissolto, scomponendosi come le immagini riflesse nell’acqua colpita da un sasso.
Più persistente è il fenomeno prodotto dai fiori. I fiori nubigeni non sono particolarmente profumati ma, appassendo, invece della fragranza essi lasciano proiettata sul muro la loro ombra [41].
È una immagine che rimane per qualche giorno, poi anch’essa scompare. Per questo motivo i fiori secchi sono sconosciuti a Nubigenia, come sconosciuta è l’idea di museo d’arte. Sarà ormai chiaro che anche le immagini dei quadri svaniscono: restano solo le tele bianche [42] che, senza alcun rispetto per il genio pittorico di chi le ha usate, vengono riutilizzate per altri quadri temporanei. La storia dell’arte nubigena necessariamente non esiste, così come non può esistere una storia delle nuvole al tramonto, una storia delle bolle in un bicchiere d’acqua minerale e tutte le storie di altri eventi casuali, osservati una volta, scomparsi e irripetibili nella stessa forma. Persistereste voi in un mondo di cose che svaniscono? I nubigeni non lo fanno. Anch’essi spariscono. Ne ho fotografato uno di cui ormai non restava che una vaghissima ombra [43]. Usando una parola terrestre potrei dire che questo dissolversi sia la morte dei nubigeni.
[42, 43] Foto smarrite
Andare Alla Luce
Vi anticipo subito che a Nubigenia la morte è solo il compimento di un desiderio. È un evento atteso, mai temuto, né tantomeno accompagnato da sentimenti, simboli e immagini cupe. È una morte simile a una nascita, persino nell’espressione che la definisce. Anche i nubigeni dicono venire alla luce per indicare l’atto della nascita. Ma dicono anche andare alla luce per indicare la morte. Si diventa luce. Non solo metaforicamente: al termine del processo di scomparsa si diventa proprio una piccola sfera di luce. Allora, finalmente soddisfatto il desiderio più intimo, i nubigeni si innalzano e ridiventano parte dei movimenti siderei.
Chiocciole Con Un Segreto
Devo spiegare qual è questo desiderio. Le spettacolari albe dei pianeti e degli altri corpi celesti, i passaggi delle meteore e le eclissi, pur se possibili in infinite combinazioni, sono in fondo eventi ripetitivi. Nonostante ciò, notte dopo notte invece della noia nei nubigeni subentra il desiderio. Dapprima è solo una sensazione vaga che si fa sempre più intensa, più inquietante. Possono passare anni, in cui i nubigeni spendono tutte le loro notti a guardare lo spettacolo sidereo, presi da questa inquietudine di cui non conoscono il motivo. Notti intere passate cosi, con ovvi effetti sulla vita diurna: luoghi pubblici deserti [44], bambini addormentati sui gradini delle scuole [45], una attività quotidiana alquanto rallentata. Nel fare questo, i nubigeni sono catturati in un circolo che sembra non avere sbocchi. Essi reagiscono a una necessità interiore: quella di capire quale è questa necessità. Quando capiscono che ciò che provano è il desiderio di diventare come le luci che osservano, ecco che ha inizio il processo di trapasso.
Questo può avvenire a qualsiasi età, per cui si possono incontrare anche nubigeni di 130 e più anni, nei quali il desiderio tarda a maturare. Ma sono casi rari. Non appena raggiunta l’età della ragione, ogni Nubigeno dedica tutte le notti alla maturazione del proprio desiderio. All’inizio credevo che fosse solo una delle mie tante ipotesi su questo popolo. Nessuno poteva confermarmi la sua veridicità e io mi domandavo: se questo è proprio ciò che avviene, perché chi ha capito il motivo della propria inquietudine non lo spiega agli altri per aiutarli a superare il disagio? Ponendomi questa domanda non tenevo conto di due particolari:
1. i nubigeni parlano pochissimo e ancor meno delle proprie sensazioni. La poesia non esiste (pur rifiutandomi di inventare una lingua nubigena, posso dire che in essa non esistono parole che terminino con le stesse sillabe e quindi le rime non sono possibili). Il resto della letteratura nubigena ignora totalmente i romanzi d’amore, preferendo generi più tecnici e, soprattutto, la registrazione impersonale degli effetti siderei più interessanti osservati nel corso dei secoli;
2. uno dei primi effetti del trapasso è la perdita non della facoltà di parola, ma della voglia di parlare. Dopo aver capito cosa sta maturando nel proprio cuore, un nubigeno non dedica neanche una frazione delle proprie energie ad altro che non sia il compimento del suo desiderio. Quindi non dedica neanche un attimo del suo tempo a una operazione come il parlare che (ricordiamo l’altitudine cui siamo!) richiede un grande consumo di ossigeno. Sono, insomma, simili a chiocciole, che tengono chiuso nella loro spirale il proprio segreto. Un segreto ultimo che non viene mai svelato a chi non è ancora pronto a riceverlo.
Fine Di Nubigenia
Sono più loquace non solo di un nubigeno, ma anche di qualsiasi altro terrestre. Una sera, mentre verso il crepuscolo già qualcuno era pronto ad assistere allo spettacolo notturno, ho parlato della mia teoria a un gruppo di nubigeni. Ascoltandomi trovarono d’un tratto la risposta alle loro insonnie volontarie e cominciarono a diffondere la notizia tra tutti gli altri abitanti. L’aver ottenuto la rivelazione senza una adeguata crescita spirituale alterò i normali meccanismi con cui i nubigeni svanivano al termine della loro esistenza. La fase di scomparsa risultò estremamente accelerata, tanto che dopo essere stati messi al corrente della mia teoria (ma ormai non era più solo una teoria, bensì una certezza) ai nubigeni bastarono pochi minuti per dissolversi, tramutarsi in piccole sfere di luce e innalzarsi verso l’oggetto delle loro osservazioni. Intorno a me, e per colpa mia, Nubigenia andava svuotandosi dei suoi abitanti, mentre il cielo si riempiva di sfere e delle loro scie. Decisi immediatamente di abbandonare la regione supernubilare, anche perché tra poco, non essendo più abitanti, sarebbero scomparsi anche gli edifici e non sarebbe rimasto che il suolo dalla pianta quadrata. Anzi, per evitare che qualcuno decida di andare alla ricerca dei resti di Nubigenia, approfittando del potere delle invenzioni terrestri, faccio in modo che la vanificazione sia totale e dissolva anche tutta la parte superiore del monte a clessidra. Non prima, però, che io ne sia ridisceso e che, ripresomi dallo smarrimento per ciò che ho combinato, abbia fotografato le scie delle ormai ultime sfere di ex-nubigeni, lanciate verso il cielo, senza neanche il bisogno dei tubi di partenza [46 ].
Chiocciole Senza Segreto
Credo di aver capito a cosa servissero i tubi di partenza. Probabilmente erano una specie di rampa di lancio per i nubigeni trapassati. Da qui essi prendevano il via per andare verso... [i puntini sono necessari: non so dove siano andati]. Questo modo dei nubigeni di abbandonare la fisicità mi fa pensare ai molluschi privi del loro guscio. Sì, proprio a una lumaca. Le lumache sono loro, noi siamo le chiocciole. È così trasparente la loro fine materiale, così pulita. Non resta nulla. L’assenza di decomposizione può essere stata raggiunta evolutivamente per motivi di spazio: Nubigenia era piccola, il suo suolo era prevalentemente roccioso, difficile da scavare. Quasi non esistevano le cantine e i cimiteri erano del tutto assenti. L’idea di un graduale dissolvimento in un’altra materia (che è la nostra morte) non è altrettanto affascinante quanto il discreto intrasparentirsi dei nubigeni. Una volta svaniti e diventati una piccola sfera di luce, usavano evidentemente questi tubi di partenza per innalzarsi. Sì, deve essere così, anche perché questi tubi confermano la teoria secondo cui tutta la nostra spiritualità è giunta a Nubigenia.
I tubi di partenza ricordano molto il tunnel oscuro attraverso il quale i tanatologi dicono che l’anima passi dopo aver abbandonato il corpo. E la mancanza di decomposizione fa pensare alle assunzioni in cielo bibliche. Naturalmente, nello scendere dai quattordicimila metri di altezza al nostro livello, qualcosa è cambiato. Il tunnel-passaggio si è smaterializzato, mentre la decomposizione si è materializzata. Tutto sembra funzionare abbastanza bene in questa ultima invenzione, ma ormai non credo di aver neanche più il bisogno di risultare convincente. Chi ama trovare sempre delle spiegazioni e delle giustificazioni tecniche avrà ormai smesso di seguire la narrazione su Nubigenia, disgustato dall’approssimazione e dal difetto di fondatezza scientifica. Quanti saranno arrivati fin qui? Forse solo i più ingenui, i meno critici. Coloro che credono negli spiriti, nell’invisibile e nelle influenze impossibili. Coloro che creano e non distruggono.